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Alfonso Bonafede, ex ministro grillino della Giustizia nei due governi Conte, pare essere in pista per uno dei dieci posti destinati ai “laici” nel prossimo Consiglio superiore della magistratura.La notizia è stata data ieri dal Fatto Quotidiano, giornale notoriamente molto ben informato sulle dinamiche pentastellate.

La candidatura di Bonafede, in caso fosse confermata (al momento, comunque, il diretto interessato non ha smentito, ndr), è già destinata a far discutere. Sarebbe la prima volta, infatti, da quando esiste il Csm, che un ex ministro della Giustizia viene chiamato a far parte dell’organo di autogoverno delle toghe. Ma a parte questo “cortocircuito”, la circostanza più sorprendente è che Bonafede, quando era a via Arenula, fu l’autore di una proposta di legge, poi non approvata, che prevedeva il divieto tassativo per i parlamentari e per i membri del governo di diventare componenti del Csm.

La proposta era stata avanzata da Bonafede dopo lo scoppio del Palamaragate, a maggio del 2019, con lo scopo di dare un taglio netto alle pratiche spartitorie che erano state disvelate dall’indagine nei confronti di Luca Palamara, anche se avevano visto come protagonisti solo i componenti togati. In molti pensarono allora che l’iniziativa di Bonafede fosse finalizzata a prendere le distanze dal Pd che aveva espresso gli ultimi due vice presidenti del Csm, Giovanni Legnini e David Ermini, il primo sottosegretario nel governo Letta, il secondo responsabile giustizia dei dem a Montecitorio. La riforma di Bonafede, per la cronaca, ebbe la forte contrarietà di tutti i partiti, ad iniziare proprio dal Pd, Italia Viva e Leu.

Sul fronte dei requisiti per Bonafede non ci sarebbero problemi: per poter essere eletti al Csm bisogna essere avvocati con almeno quindici anni di iscrizione all’Albo (Bonafede ha un anno di iscrizione in più) o professori ordinari di materie giuridiche.La candidatura dell’ex Guardasigilli, sempre se confermata, è anche una rottura con i tradizionali modi di selezione da parte dei pentastellati della propria classe dirigente. Fino ad oggi i componenti laici del Csm in quota M5s sono stati scelti tramite il voto su Rousseau. Il primo, nel 2014, fu Alessio Zaccaria che arrivò a piazza Indipendenza quasi per ‘scommessa’ dal momento che furono i suoi studenti a proporlo, depositando il suo curriculum sulla piattaforma. Tale meccanismo di scelta è stato replicato nel 2018 con gli attuali tre laici: i professori Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati e Fulvio Gigliotti.

Le votazioni per l’elezione dei dieci laici da parte del Parlamento in seduta comune sono in programma per il prossimo 21 settembre. Mancano poco più di due mesi ma, con le ferie di agosto di mezzo, i partiti hanno intenzione di imprimere una accelerazione e presentare i propri candidati.La scissione di Di Maio potrebbe allora creare problemi a Bonafede. Non è escluso che i fedelissimi del ministro degli Esteri, in ossequio al “Campo Largo” di Enrico Letta, in mancanza di propri candidati spendibili possano dirottare i loro voti sui candidati del Pd.

Dalle parti del Nazareno c’è già un affollamento di candidati. Un problema, va detto, comune a tutti gli altri schieramenti. Il motivo è molto semplice: con il taglio dei parlamentari, conquistare un posto sicuro per le elezioni politiche del prossimo anno sarà difficile per chiunque. Andare a far parte del Csm potrebbe essere, dunque, un’ottima soluzione, trattandosi di un incarico di prestigio e di grande potere. Resta da vedere cosa dirà il capo dello Stato Sergio Mattarella, che del Csm è il presidente, ai vari parlamentari che intendono lasciare prima del tempo la legislatura per trasferirsi a Palazzo dei Marescialli. Non è da escludersi una moral suasion finalizzata ad un “ripensamento”.