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Il prossimo governo dovrà necessariamente rivedere in modo drastico la misura del reddito di cittadinanza che, dopo quasi 4 anni di applicazione, non è servito a contenere la povertà (figuriamoci ad abolirla). Anzi, al contrario, ha finito per disincentivare la ricerca del lavoro regolare, favorendo quello sommerso. La povertà è una cosa seria che non si può affrontare solo con misure assistenzialistiche

Il fallimento del reddito di cittadinanza

La misura in questione se forse ha avuto un senso in termini di assistenza durante gli anni più duri duri della pandemia, ha completamente fallito sotto il profilo delle politiche attive del lavoro. Difatti, sotto il profilo dell’incontro tra domanda e offerta si registra un sostanziale fallimento. Il tutto senza voler contare gli scandali, i mancati controlli e i veri e propri abusi che si sono consumati attorno a questa misura.

Preso atto del fallimento del RDC, è dunque necessario procedere una profonda revisione della lotta alla povertà attraverso una differenziazione di strumenti secondo due direttrici fondamentali. Da una parte a offrire reale tutela e assistenza a chi davvero ne ha bisogno e non può lavorare, e dall’altra ad aumentare le possibilità di trovare occupazione per chi invece può e deve svolgere attività lavorativa. La misura di sostegno non può essere garanzia del “far nulla” ed eventualmente da integrare con lavoro a nero.

Creare opportunità di lavoro: nell’interesse di lavoratori e imprese

In altre parole, occorre limitare il RDC esclusivamente ai primi, mentre lo Stato si deve assumere l’onere di incentivare l’occupazione attraverso ad esempio la leva fiscale: da una parte, mediante la riduzione del cuneo fiscale e dall’altra tramite incentivi a chi assume e/o stabilizza i contratti.

Insomma, è’ finito il tempo delle mance elettorali, con buona pace dell’ex premier Conte e dei grillini. Il male della povertà si affronta tramite la creazione di opportunità di lavoro e non con prebende distribuite più o meno a caso che hanno l’effetto perverso di disincentivare al lavoro per star a casa, retribuiti a spese della collettività.

Insomma, come è possibile vedere ristoratori dover chiudere in estate la loro attività per mancanza di personale che preferisce vivere del RDC piuttosto che impegnarsi attivamente portando valore e beneficio alla comunità?

Cos’altro servirebbe?

Certamente, non è solo la modifica del reddito di cittadinanza che può permetterci di compiere una svolta netta verso una più stabile occupazione, ma certamente da lì occorre partire.

A tutto questo andrebbe aggiunta anche una radicale revisione della contrattualistica, eliminando il più possibile fattispecie capestro e incentivando, al contrario, la stabilizzazione contrattuale attraverso una progressiva ma importante detassazione.

Gli imprenditori che oggi decidono di scommettere sul futuro della Nazione e che danno lavoro sono certamente eroi, ai quali però non basta la retorica, ma serve una forte e incisiva politica economica con misure concrete e specifiche per rendere competitive le loro aziende e permetter loro di continuare a creare ricchezza e opportunità.

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