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L’udienza del processo a carico del giornalista Kelly Duda è stata rinviata al 19 dicembre prossimo per questioni procedurali e per l’assenza, a causa del Covid, di un testimone. Il reporter statunitense è sotto processo davanti al Tribunale di Roma per il reato di “offesa all’onore o il prestigio di un magistrato”.

Al termine di una udienza a Napoli, svoltasi qualche anno fa, Duda criticò la condotta del pubblico ministero, Lucio Giugliano, nella gestione della sua testimonianza. Circostanza che gli è costata appunto l’imputazione per oltraggio. Kelly Duda ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale lo scandalo del sangue infetto utilizzato per produrre emoderivati. Il suo documentario, risalente al 2006, intitolato “Factor 8” (il nome non è casuale e si riferisce ad un elemento essenziale per la coagulazione del sangue), ha portato alla luce la pericolosa pratica di utilizzare il sangue dei detenuti nelle carceri statunitensi, malati di epatite B, per ottenere i prodotti destinati agli emofiliaci. Per molti emofiliaci il contagio è stato inevitabile così come il calvario di lunghe e costose cure. Molti di loro sono morti e in tanti Paesi, compresa l’Italia, si sono aperti processi per fare luce sulle modalità di produzione degli emoderivati.

Duda si è confrontato con la nostra giustizia (si veda anche l’intervista esclusiva rilasciata al Dubbio il 6 maggio 2020) ed è stato ascoltato nel 2017 davanti al Tribunale di Napoli come testimone nel processo contro Duilio Poggiolini, ex capo del dipartimento farmaceutico del ministero della Sanità, ed alcuni rappresentanti del Gruppo Marcucci, accusati di omicidio colposo. Il processo si è concluso nel marzo del 2020 con l’assoluzione di tutti gli imputati.

Nel suo documentario Duda intervistò il medico Francis Henderson, impegnato nella raccolta di sangue in un penitenziario dell’Arkansas, che nel 1982 si recò in Italia per sensibilizzare alcuni imprenditori del settore degli emoderivati sulla necessità di richiamare i prodotti con sangue di cittadini americani. Andrea Di Pietro, difensore di Kelly Duda, è fiducioso rispetto all’esito della vicenda giudiziaria del suo assistito. «I tempi – commenta – sono maturi per una decisione e a dicembre il processo potrebbe finalmente concludersi. Ci troviamo di fronte ad un caso in cui le questioni che stiamo affrontando sono tutte in diritto. Le questioni giuridiche sono quelle che riguardano il diritto di critica, alla base del migliore giornalismo. Purtroppo, si è messo di mezzo pure il Covid che ha ritardato tutto, ma sono convinto che alla fine dell’anno il processo potrà finire favorevolmente per Duda».

Le inchieste del giornalista americano hanno permesso di accendere negli anni scorsi i riflettori su uno scandalo tenuto nascosto per molto tempo da alcune aziende farmaceutiche. Le difficoltà incontrate per realizzare il documentario dello scandalo del sangue infetto non sono state poche. Duda è originario di Little Rock, nell’Arkansas, e ha fatto i conti, da un lato, con l’ostilità delle aziende farmaceutiche tirate in ballo e, dall’altro, con una indifferenza costruita a tavolino per ostacolare la diffusione delle notizie. Una campagna stampa, seppur sussurrata, contro il suo lavoro. Ma non solo. Anche controlli sulla sua persona, pedinamenti, atti intimidatori, fino ad arrivare alla distruzione della sua abitazione.

Negli Stati Uniti non ci sono state condanne penali per i responsabili della diffusione di farmaci prodotti con sangue infetto. Si sono avuti, invece, molti procedimenti in ambito civile conclusisi con successo per i contagiati e con una serie di risarcimenti danni. Dover affrontare in Italia un processo per oltraggio rappresenta per Kelly Duda una situazione paradossale, difficile da spiegare ai suoi connazionali e ai media d’oltreoceano. «Sono venuto in Italia – dice al Dubbio – come cittadino del mondo per aiutare le vittime del sangue contaminato e dare un contributo per cercare giustizia. Ora sono io il bersaglio. È una situazione a dir poco kafkiana. La libertà non può esistere senza la libertà di stampa e di parola. Per decenni persone avide e senza scrupoli hanno venduto sangue infetto ai pazienti e se la sono cavata. In passato il sangue era considerato più prezioso dell’oro. Per Big Pharma il profitto ha prevalso sulla sicurezza e la salute dei cittadini e la storia di questo scandalo mondiale non è stata ancora raccontata per intero».