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Con quasi un terzo degli abitanti sopra i 65 anni, il Giappone è il paese con la popolazione più anziana del mondo, seguito dall’Italia. Dal 1975 la popolazione giapponese è stata quasi sempre in costante calo per via della diminuzione delle nascite e delle rigide limitazioni all’immigrazione, e negli ultimi anni la situazione nel paese non è cambiata molto. Quello che è cambiato è che adesso il calo delle nascite sta riguardando anche altre aree dell’Asia orientale, molte delle quali si sono avvicinate al bassissimo tasso di natalità del Giappone, oppure lo hanno del tutto sorpassato. Come spiega un recente articolo dell’Economist, è una questione che può essere collegata a vari fenomeni tipici delle economie in forte crescita.

In Giappone nel 1989 si registrò il tasso di natalità più basso mai verificato nella storia del paese fino a quel momento, pari a 1,57 figli per ciascuna donna, in un periodo in cui per fare un confronto ogni donna cinese aveva in media 2,3 figli. Nel 2020 il tasso di natalità in Giappone è stato di 1,3 figli per donna, un dato sempre molto basso se confrontato con quello di altri paesi e aree del mondo, ma comunque più alto del tasso di altri paesi e città dell’Asia orientale dove fino a pochi anni fa nascevano molti più bambine e bambini, come Corea del Sud, Singapore, Hong Kong, Taiwan e Macao.

In Corea del Sud, il paese col tasso di natalità più basso di tutta la regione (0,8 figli per donna), nel 2020 sono state registrate 272mila nascite, un calo del 10 per cento rispetto all’anno precedente. A Hong Kong e Macao ogni donna in media ha meno di un figlio, mentre in Thailandia il tasso di natalità è passato da 6,2 figli negli anni Sessanta a 1,5 nel 2020. Secondo l’istituto di ricerca statunitense Population Research Bureau, attualmente ha un tasso di natalità simile a quello del Giappone anche la Cina, dove nel 2021 sono nati 10,6 milioni di bambine e bambini contro i 12 milioni dell’anno precedente, un calo dell’11 per cento (il tasso di natalità in Europa è in media di 1,5 figli, coi valori più bassi a Malta, in Spagna e in Italia, ferma a 1,24 figli per donna).

In generale il calo delle nascite sembra caratterizzare quei paesi particolarmente ricchi oppure in rapida crescita economica, dove la popolazione diventa sempre più vecchia e contestualmente diminuisce per motivi legati proprio ai cambiamenti della società.

Uno dei motivi principali che sembrano contribuire al calo di natalità nell’Asia orientale è la rapida urbanizzazione dei centri abitati, che porta molte persone a migrare dalle aree rurali alle città per trovare lavoro più facilmente. Con la migrazione verso le grandi città però diminuisce la disponibilità degli alloggi a prezzi accessibili, soprattutto per le coppie più giovani, che generalmente finiscono per avere grosse difficoltà a mantenersi e quindi anche a mantenere eventuali figli. Come nella gran parte dei paesi asiatici, inoltre, le donne hanno sempre maggiore accesso all’istruzione, cosa che le porta a rimandare il momento in cui ci si sposa e si fanno figli per dedicarsi invece a una carriera: in sostanza, si fanno figli più in là con gli anni, e anche per questo se ne fanno di meno.

Tendenzialmente, poi, in questi paesi si fanno molti meno figli al di fuori del matrimonio, racconta l’Economist: solo il 2 per cento circa delle bambine e dei bambini nati in Giappone o in Corea del Sud nasce da coppie non sposate, il dato più basso tra quelli dei paesi dell’OCSE, l’organizzazione che raggruppa 35 dei paesi più ricchi al mondo, nei quali sono invece normalmente tra il 30 e il 60 per cento. Un altro problema che influisce sulla decisione di avere figli è quello dei costi relativi alla loro formazione: in Cina, a Hong Kong o a Singapore è frequente che le famiglie spendano molti soldi per programmi di tutoraggio paralleli alle attività scolastiche per migliorare i risultati e le opportunità dei figli.

Molte analisi hanno osservato come il calo delle nascite legato a questo tipo di cambiamenti sociali abbia ripercussioni più ampie sull’economia dei paesi, ma anche sulle condizioni di vita della popolazione sul lungo periodo. Per semplificare, col calo della popolazione diminuisce per esempio la forza lavoro e al contempo vengono meno quei sistemi di sostegno economico che contribuiscono a dare assistenza alla popolazione che invecchia. Per questo un rapporto del 2019 dell’Economist Intelligence Unit – una società indipendente che fa parte del gruppo editoriale dell’Economist e si occupa di raccogliere e interpretare dati per governi e aziende – raccomandava ai governi dei paesi interessati da significativi cali delle nascite di investire di più su varie politiche orientate al sostegno delle famiglie, comprese quelle che riguardano l’accesso agevolato ad alloggi a buon mercato.

– Leggi anche: Il calo delle nascite è un bene o un male?