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Ho spesso immaginato come poteva essere il Maccartismo nella realtà quotidiana degli Usa dei primi anni cinquanta del secolo scorso. Ma un’idea me la sto facendo ora osservando quanto avviene in questa Italia con l’elmetto sulla mente. Dove l’improvviso montare di un bellicismo parolaio vorrebbe farci indossare per forza la tuta mimetica.

Certo il nostro è un Maccartismo alla “noantri”, in salsa di pomodoro anziché di ketchup. Un Maccartismo che, per quanto equivalente all’originale in stupidità, lo supera abbondantemente sul piano del ridicolo. Basta scorrere il quotidiano breviario di castronerie: dalla soppressione di corsi universitari su Dostoevskij alla proposta di rimuovere targhe e busti riferibili al grande scrittore russo. Dall’allontanamento di artisti russi dai teatri lirici al sequestro dei beni di cittadini russi, e senza che questi abbiano commesso alcun reato in territorio italiano. Dall’abolizione della lettera Z dell’alfabeto alla rimozione della statua di San Nicola donata dalla Russia alla basilica di Bari. Un delirio che accompagna la caccia al Russo e a tutto ciò che è russo.

Caccia che si estende anche a coloro che, pur condannando l’aggressione di Putin all’Ucraina, vorrebbero semplicemente ragionare sulle cause di quanto avvenuto. Per capire i motivi che hanno portato alla guerra. Per capire come evitare in futuro il ripetersi di eventi del genere. E per capire quali errori sono stati commessi da parte dell’Unione Europea e della Nato.

La sconfitta del ragionamento

Ma l’italico Maccartismo non è interessato a capire alcunché, né è interessato ad una riflessione storica sui fatti che hanno portato a questa guerra. Considera anzi ogni ragionamento del genere come un cedimento alle tesi del Nemico.

Per cui, rimanendo aggrappato al presente, resta fermo sul fatto basico ripetendo all’infinito il mantra: «Qui c’è un aggredito e un aggressore». Affermazione certamente condivisibile ma che, girando continuamente a vuoto su se stessa, non fa avanzare la comprensione dell’intera vicenda. Col rischio di produrre un effetto puramente retorico.

La storia dell’umanità

Anche perché quella dell’aggredito e dell’aggressore è, a ben vedere, la storia di tutta l’Umanità, da Caino e Abele in poi. Sarebbe semmai interessante -e sicuramente più utile- discutere su come prevenire le aggressioni e su come porvi termine. E su come passare dall’attuale disordine mondiale ad un nuovo Ordine necessariamente multipolare. Senza abbandonarsi a logiche da tifoseria che invitano a schierarsi da una parte o dall’altra, in omaggio ad un dubbio manicheismo dalla periclitante moralità.

Ma sono discorsi troppo impegnativi (e quindi in odor di intelligenza col Nemico!) per i nostri sospettosi Maccartisti, già occupati a stilare liste di prescrizione per i cripto-putiniani e per tutti quelli che sono putiniani a loro insaputa.

Esemplare in tal senso quanto accaduto al povero professor Orsini, accusato di filo-putinismo e quindi ostracizzato dalla sua Università e dal generale coro dei media. Solo per aver avuto l’ardire di introdurre la categoria della “complessità” nel ragionamento sulle cause e le responsabilità della guerra in corso. Perché è proprio la complessità del fatto storico e del pensiero che lo rappresenta ciò che il Maccartismo de’noantri non può assolutamente accettare. Pena la dissoluzione della narrazione che lo sostiene e lo legittima.

La complessità infatti frantuma l’ingranaggio del procedimento binario (buono-cattivo, bello-brutto, vittima-carnefice, ecc.) su cui si muove la narrazione maccartista. La complessità rimanda poi alla profondità della storia (che ci insegna a conoscere il passato per progettare il futuro), rifiutando di farsi schiacciare sul presente che è l’unico tempo concepito dall’ossessione maccartista. Questa complessità insomma fa paura, perché, nel problematizzare il ragionamento, impedisce la riduzione del pensiero a semplice tesi affermativa, vanificando così ogni strumentale semplificazione.

Le colpe del Prof. Orsini

La colpa di Orsini consiste perciò nel ragionare in termini di complessità storica, evidenziando la natura del mondo in cui ci troviamo. Un mondo dove non vi sono, per definizione, colpevoli ed innocenti, e che pertanto non può essere compreso attraverso schemi ideologici o moralistici. Un mondo che è un problema aperto, la cui soluzione peraltro parziale può passare solo attraverso lo studio e l’analisi della successione temporale degli avvenimenti che lo riguardano.

Se Orsini fosse stato davvero putiniano -e non lo è!- sarebbe stato sì emarginato ma anche tollerato, e in qualche modo perdonato dai nostri Maccartisti. I quali non possono invece assolutamente perdonargli il fatto di aver introdotto la categoria della complessità nel discorso pubblico sulla guerra in Ucraina. Da qui il continuo feroce accanimento nei suoi confronti.

Eppure la complessità e la problematicità sono figlie di quel libero pensiero che è il fondamento di tutte le libertà care alla cosiddetta civiltà occidentale. Possibile che non ci si renda conto che il rifiuto della problematicità e della complessità porterà inevitabilmente ad una limitazione della libera espressione del pensiero e della parola?

La voglia di un pensiero unico

Ma forse è proprio questo l’obbiettivo dei Maccartisti de’noantri, tutti intenti ad affermare un pensiero unico: una narrazione esclusivamente funzionale a interessi tanto potenti quanto opachi; una narrazione nella quale imprigionare le nostre menti e le nostre vite. Il Maccartismo de’noantri rappresenta quindi una sorta di evoluzione del tradizionale conformismo italiano al quale ci ha abituato una miserabile Politica sempre ligia alle mode del momento (da Greta a Zelensky).

Tanto conta unicamente ciò che vien fatto sul momento: su di un presente assoluto senza passato e senza futuro, privo di respiro storico e di visione di insieme. Un eterno presente fatto di momenti che si esauriscono in sé, slegati tra loro. E così ieri era «no alla guerra, senza se e senza ma», oggi è «armiamo l’Ucraina» (col sottinteso ovviamente di farle combattere la nostra guerra). E domani? Bè, domani è un altro giorno. Cosa fare -e soprattutto cosa pensare- ce lo dirà il film del produttore di turno… A questo siamo ridotti.

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