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Molte sono le emergenze della giustizia italiana. Si è detto e scritto tanto a riguardo ma ben poche sono le soluzioni realmente prospettate.

La riforma Cartabia sicuramente segna dei passi avanti ma non poteva non risentire dell’eterogeneità della maggioranza che l’ha varata. Pertanto, buona nelle intenzioni ma meritevole di uno scatto in più. Occorre gettare il cuore oltre ostacolo e riformare il sistema Giustizia in modo più incisivo.

Le priorità del mondo giustizia

Da dove ripartire?

Velocizzazione dei tempi del processo in primis. Le disfunzionalità di sistema costano al Paese 2 punti di PIL. Gli imprenditori – soprattutto stranieri – non si fidano dell’Italia perché in caso di contenzioso giudiziario la lunghezza del processo paralizza l’investimento e la resa. E poiché l’ipernormazione che caratterizza il nostro Paese determina continuamente processi – civili, penali e soprattutto amministrativi – non si può dar torto a chi ha dei dubbi.

Basti pensare ai lavori pubblici e al farraginoso codice degli appalti la cui applicazione determina quantomeno l’immediata sospensione dei cantieri in presenza di mere ipotesi di reato o, comunque, di illecito.

Urge quindi filtrare i procedimenti e semplificare le procedure.

Ripensare le procedure

Dal punto di vista del diritto civile, la nota dolente è la difficoltà nel recupero del credito. In un momento poi in cui l’aggravarsi delle condizioni economiche generali fa sì che il denaro circoli molto più lentamente, chi ha diritto al corrispettivo per una prestazione spesso rimane ingabbiato in un sistema letteralmente perverso.

Con specifico riferimento al diritto penale, poi, occorre una severa opera di depenalizzazione con riguardo in particolare ai reati amministrativi. Occorre uscire cioè da quella logica di “amministrazione difensiva”che determina l’incapacità dell’amministratore pubblico di assumersi delle responsabilità per paura della ghigliottina giudiziaria.

Dare finalmente esecuzione al sistema anglossassone

Detto in parole semplici, occorre depenalizzare l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze nonché tutte quelle fattispecie di reato indeterminate nella modalità di condotta che pongono sotto ricatto l’amministratore.

Non solo, bisogna finalmente portare a termine la applicazione del codice Vassalli e introdurre un vero e proprio sistema accusatorio nel nostro Paese (con separazione delle carriere e discrezionalità dell’azione penale) restringendo al massimo i casi che “arrivano a giudizio”. In questo un importante contributo potrebbe dare l’allargamento delle maglie per l’accesso ai riti alternativi e, in particolare, il patteggiamento.

Sarebbe anche da considerare l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione in quanto perfettamente coerente con il principio liberale per cui si condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Se il giudice in primo grado ha assolto, evidentemente sussiste un ragionevole dubbio sulla colpevolezza che mal si concilia con una condanna in appello basata sulle stesse carte e in assenza di elementi nuovi. All’importante effetto deflattivo dei giudizi si aggiungerebbe anche la non poco significativa armonizzazione del sistema penale con i principi di diritto liberale.

Stop all’abuso delle intercettazioni

Altro “punto dolens”, il rapporto stretto fra alcune procure e l’informazione, al punto che sistematicamente indefinite veline lasciano trapelare intercettazioni telefoniche di indagati i cui diritti vengono violati ben prima di alcuna sentenza.

Peraltro, si tratta di uno strumento che è divenuto preminente nelle indagini, estremamente costoso e che sovente non conduce a impianti accusatori che trovano conferma al vaglio dibattimentale. Insomma, in parole semplici, risorse sprecate.

Riforma carceraria

Vi è poi una emergenza carceraria da non sottovalutare. A patire dall’eccesso di custodia cautelare che porta un terzo circa dei detenuti a essere “dietro le sbarre” senza nemmeno la condanna di primo grado. Uno stato di diritto non può consentire un tale “vulnus” democratico e pertanto ben venga un organo realmente terzo che possa giudicare dell’opportunità della misura da riportare nei canoni di “extrema ratio” con i quali era stata pensata.

Quanto costa poi un detenuto allo Stato? Siamo sicuri che tutta la popolazione carceraria attualmente presente nei nostri istituti di pena “meriti” davvero la privazione della libertà o non sarebbe più funzionale un percorso rieducativo alternativo (ovviamente per i reati meno gravi)? Anche su questo una riflessione andrebbe fatta per capire se e dove si annidano sprechi inutili di risorse che potrebbero essere liberate in altro modo.

Con Carlo Nordio ce la faremo!

Siamo senza dubbio confortati dalla sensibilità che il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha più volte manifestato riguardo a questi punti e quindi è auspicabile e prevedibile che quanto sopra sinteticamente riportato possa costituire quantomeno base di dibattito su una materia – quella della Giustizia – strategica per la Nazione.

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