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Stamattina presto, due esplosioni sono risuonate cupamente a Gerusalemme, provocando molti feriti, fra cui anche diversi bambini e – secondo alcune fonti – un morto.

Si tratta ovviamente di un bilancio provvisorio che speriamo non debba essere aggiornato.

La prima esplosione, probabilmente una bomba, è avvenuta alla stazione centrale degli autobus mentre la seconda all’ingresso del quartiere Ramos.

Per adesso non è ancora chiaro quale sia la dinamica degli attentati ma sembra profilarsi l’ipotesi di un attacco terroristico coordinato, almeno secondo quanto dichiarato dal capo della polizia Kobi Shabtai.

Nessuno ha rivendicato l’azione anche se Hamas ha già pubblicamente elogiato gli attentatori (sic!!). Resta dunque assieme allo sgomento, la paura che gli attacchi possano continuare.

La situazione rischia di incendiarsi

La situazione, insomma, è calda e si teme una escalation, anche in considerazione di una certa intensificazione degli attacchi “soft power” che hanno accompagnato le elezioni e la formazione del nuovo governo israeliano.

Dopo le ultime elezioni politiche e la vittoria di Benjamin Netanyahu si profila un governo di destra in Israele con l’alleanza tra il Likud e il partito Sionista Religioso di Itamar Ben Gvrir.

E questo ha destato la preoccupazione della sinistra internazionale che, senza un minimo di vergogna, ha parlato di svolta fascista in Israele, ma potrebbe anche portare a una recrudescenza del terrorismo palestinese.

Si tratta del solito vile mantra che addossa all’aggredito la responsabilità dell’aggressione che purtroppo trova sponda, come detto, anche in certi modi di leggere la storia e l’attualità.

Netanyahu è una garanzia

Al contrario, continuiamo a ritenere che Israele sia un faro di democrazia e un esempio di coraggio in Medio-Oriente e certamente non sono da temere “svolte estremiste”. Anzi, la vittoria di Netanyahu è una garanzia non solo interna (il Likud è un partito di destra liberale) ma anche internazionale in un momento estremamente complicato.

Perciò c’è solo da gioire per l’affermazione di “Bibi” – come viene chiamato affettuosamente il neo-premier – in Israele, tranne ovviamente che per i criminali terroristi che insidiano la stessa esistenza dello Stato di Israele.

Non vi è dubbio che tali terroristi vadano perseguiti e puniti duramente, secondo lo Stato di diritto, ed è comprensibile anche la volontà di inasprire le pene per costoro come evidentemente emerge dal risultato elettorale del partito di Ben Gvrir.

La responsabilità della violenza non è di Israele

Il terrorismo è anche una questione politica e non solo criminale e la risposta della politica dovrà essere forte e dura perché la pace si raggiunge con il dialogo e non con le bombe o gli accoltellamenti.

Ebbene, se Israele ha molto da insegnare in termini di dialogo e confronto, stessa cosa non si può dire della controparte palestinese che tiene in ostaggio un popolo e minaccia la sicurezza di tutta l’area, con la complicità della stessa classe dirigente incapace (per evidente mancanza di volontà) di emanciparsi dalla lotta armata.

I motivi di preoccupazione sono tanti dunque, ma la vicinanza allo Stato di Israele non si discute e tutta la comunità internazionale deve muovere in questa direzione senza se e senza ma!

Sempre dalla parte di Israele!

Oggi, tuttavia prevale il dolore per quello che è accaduto e la preoccupazione che non sia il primo atto di una serie di ritorsioni vigliacche dei terroristi di fronte a libere elezioni democratiche che in Israele hanno espresso un Parlamento e un maggioranza legittimata a governare.

Se come si sente dire con riferimento alla guerra russo-ucraina, il nuovo fronte di confronto/conflitto internazionale (quello tanto per intenderci che ha sostituito la Guerra Fredda) è la contrapposizione tra le democrazie e le autocrazie, non abbiamo dubbi che il nostro sostegno andrà sempre e comunque allo Stato di Israele.

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