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Il 17 febbraio del 1992, a Milano, i Carabinieri del Capitano Roberto Zuliani inviati dal P.M. Antonio di Pietro entrarono nel Pio Albergo Trivulzio. I militari colsero in flagranza il direttore Mario Chiesa mentre riscuoteva una tangente dall’imprenditore Luca Magni.

Mario Chiesa fu arrestato per concussione. La mazzetta era di sette milioni di Lire e serviva per l’aggiudicazione di un appalto per le pulizie del Trivulzio. Purtroppo però quel “Giuda” del Magni, stufo di pagare, si era portato i Carabinieri.

L’arresto di Mario Chiesa fu la miccia che fece esplodere Tangentopoli uno dei più grossi scandali italiani. “Mani Pulite” fu la leva che permise di avviare forse la più grande inchiesta sul finanziamento illecito ai partiti dell’Italia repubblicana.

Mario Chiesa all’inizio si avvalse della facoltà di non rispondere. Purtroppo però L’ex-moglie Laura Sala gli aveva fatto causa. La donna contestava la miserevole somma degli alimenti che Chiesa pretendeva di versarle. Quella “Caina” della ex-moglie allora, permise ai Carabinieri di individuare diversi conti bancari miliardari in Svizzera, intestati alla segretaria del Chiesa.

Dopo cinque settimane di carcere, il 23 marzo 1992, Chiesa cominciò a parlare e il 2 aprile successivo, a spremitura finita, fu spedito agli arresti domiciliari. Aveva fatto i nomi e aveva rivelato l’esistenza di un diffuso sistema tangentizio. Il sistema coinvolgeva quasi tutto l’arco costituzionale e si attuava per tutti gli appalti pubblici. Con i suoi atti l’inchiesta di Tangentopoli contribuì a destabilizzare la Prima Repubblica e diversi osservatori vi ravvisarono un intento politico.

Borrelli e Di Pietro

Il Procuratore Capo di Milano Francesco Saverio Borelli all’inizio affidò l’indagine ai PM Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo. Nel 1992 i magistrati indagarono i rapporti tra politici e imprenditori ci furono 4.500 indagati, 3.200 rinvii a giudizio. Più difficile sapere quanti furono in realtà i condannati. Furono scoperti fondi neri per 3.500 miliardi di Lire. Circa settanta Procure avviarono inchieste simili. Furono colpiti anche grandi gruppi industriali Fiat, l’Eni, la Montedison, l’Enel, l’Olivetti e Fininvest. Furono spazzati via la DC e il PSI, ma stranamente il PCI fu solo lambito dall’inchiesta. Il PM Di Pietro, promotore  dell’inchiesta fu paracadutato dal PCI in parlamento e blindato quale Senatore nel collegio Mugello.

Nel 1993, in pieno furore giustizialista, Gabriele Cagliari si uccise a San Vittore di Milano. Era presidente dell’ENI. Aveva scontato 134 giorni di carcere preventivo. Non era stato spremuto a sufficienza. Nel giorno del funerale di Cagliari si uccise anche Raul Gardini, alla vigilia del suo interrogatorio e del presumibile arresto. Doveva riferire sulla maxi tangente Enimont, versata al PCI. La tangente si perse all’interno degli uffici di via delle Botteghe Oscure e non se ne seppe più niente.

Nel novembre del 1994  Giancarlo Gorrini assicuratore denunciò Antonio di Pietro per presunti ricatti subiti. Il Ministro di Giustizia di allora Alfredo Bianchi avviò un indagine su Di Pietro. Il giudice presentò le sue dimissioni  dalla magistratura. Cosi finì l’indagine Mani Pulite.

Francesco Saverio Borrelli, intervistato prima di morire, affermò ”…Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo il per cascare poi in quello attuale”.

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