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Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni, davanti alle motivazioni con cui la Consulta argomenta l’inammissibilità dei referendum, sostiene che «Amato si dovrebbe almeno scusare con i comitati promotori» e che «se non si scusa dovrebbe dimettersi».

Cosa pensa delle motivazioni della Corte sull’inammissibilità del quesito in materia di fine vita?

Le motivazioni confermano la gravità della decisione di fondo, che è quella di anticipare in fase di ammissibilità il giudizio di costituzionalità sulla normativa che sarebbe risultata dal referendum. È grave perché il giudizio di ammissibilità si deve attenere a ciò che è scritto nella Carta, che esclude in modo tassativo tre materie, cioè le leggi di Bilancio, quelle di amnistia e indulto e quelle di ratifica di trattati internazionali. I profili di costituzionalità della normativa di risulta devono essere affrontati successivamente al voto, perché a quel punto la Corte ha un potere diverso, potendo fissare l’incostituzionalità parziale. In sostanza, la Corte avrebbe potuto intervenire dopo il referendum come ha fatto riguardo all’articolo 580 nel mio processo. Così come avrebbero potuto fare anche il Parlamento o il governo, che potevano dire che la depenalizzazione è eccessiva e limitarla ad alcuni casi.

La Corte ha scritto che «l’incriminazione dell’omicidio del consenziente risponde allo scopo di proteggere il diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili». Cosa risponde?

È proprio il soggetto debole che deve avere il diritto di essere aiutato a morire. È una motivazione che conferma una scelta politica di negare al popolo italiano il diritto di esprimersi su questo tema. Entrando nel merito, la Corte sembra voler ignorare totalmente la giurisprudenza in cui la Cassazione stabilisce che a viziare il consenso è necessaria anche una non totale riduzione della capacità psichica che renda pur momentaneamente il soggetto non pienamente consapevole delle conseguenze del suo volere. Delusioni amorose o crisi depressive, ad esempio, sarebbero rientrate nelle situazioni sottratte al voto del referendum.

Nelle motivazioni è scritto che nel quesito non rientravano i tre casi di “consenso invalido”, tra cui una deficienza causata dall’abuso di alcol. Su questo avevate avuto un duro scontro con Amato…

Il presidente Amato in conferenza stampa si è permesso di dire che con il nostro referendum una persona che aveva un po’ bevuto avrebbe potuto farsi ammazzare senza che l’omicida incorresse in qualche conseguenza. Ovviamente nelle motivazioni la Corte non ha potuto ripeterlo perché anche con l’approvazione sarebbe rimasto in vigore il terzo comma che riguarda l’abuso di sostanze alcoliche. La motivazione smentisce Amato, il che dimostra il volere politico della sentenza.

Il quesito sulla cannabis è invece definito «contraddittorio, contrario agli obblighi internazionali e inidoneo». Qual è il suo parere?

Pensiamo che anche questa motivazione dimostri la volontà di minare la credibilità del comitato promotore. Anche in questo caso, tutti i limiti sottolineati dalla Corte nel quesito, che è solo abrogativo, avrebbero potuto essere affrontati successivamente. Si vuole considerare che la coltivazione della pianta di coca non è ammissibile perché in violazione dei trattati internazionali? A parte che non è vero, ma anche se lo fosse stato, Parlamento, governo e la stessa Corte avrebbero potuto intervenire dopo il voto, non prima.

Rimaniamo però sulla questione cannabis. Cosa non vi convince ancora della decisione?

Ribadiamo che sono stati commessi errori grossolani nel merito, che indicano la volontà di anticipare a prima del referendum modifiche che potevano essere fatte dopo. Ancor di più dal momento che il presidente della Repubblica può ritardare l’entrata in vigore delle leggi derivanti dal referendum. In conferenza stampa Amato disse che la cannabis non era parte del referendum ipotizzando un errore del comitato. Ovviamente la motivazione non ha ripreso quell’errore, e io penso che Amato si dovrebbe almeno scusare con i comitati.

Poniamo che non lo faccia.

Se non si scusa dovrebbe dimettersi. Ma dovrebbe farlo a tutela della credibilità della Corte, non per espiare una colpa. Non possiamo permetterci di avere nel massimo organo della giurisdizione italiana un presidente che, nella conferenza stampa con cui spiega le motivazioni della bocciatura, dà informazioni false. Questo danneggia la credibilità dell’istituzione. Amato è un autorevolissimo giurista, non è una questione personale ma di difesa della Corte.

Quali saranno i vostri passi?

Sicuramente valuteremo se, sulla base delle motivazioni, gli errori contenuti nella conferenza stampa possano costituire elemento per un ricorso. Dopodiché rimangono due strade: quella parlamentare e quella delle azioni dirette, attraverso i ricorsi nei singoli casi e la disobbedienza civile.