Commentando l’invasione russa dell’Ucraina e le pesanti sanzioni economiche imposte dall’Occidente, negli ultimi giorni il presidente della Russia, Vladimir Putin, ha fatto più volte riferimento alle armi nucleari di cui dispone il suo paese. Allusioni così minacciose non erano state pronunciate da tempo con una guerra in corso in Europa. Benché un ricorso alle armi nucleari appaia alquanto remoto, analisti ed esperti di relazioni internazionali si stanno confrontando sul senso delle parole di Putin e su quali potrebbero essere le conseguenze delle sue prossime scelte.
Quando lo scorso 24 febbraio aveva annunciato l’invasione armata dell’Ucraina, Putin non aveva usato molti giri di parole: «Chiunque cerchi di mettersi di mezzo, o si muova per minacciare il nostro paese e il nostro popolo, sappia che la Russia risponderà immediatamente, e che le conseguenze saranno tali da non essere state mai viste nella storia». Nello stesso discorso aveva poi ricordato che la Russia «continua a essere uno degli stati nucleari più forti», accusando l’Ucraina di avere avviato piani per dotarsi di armi atomiche, senza portare alcuna prova per questa affermazione.
Le allusioni di Putin sul nucleare erano state messe rapidamente in secondo piano dall’avvio delle operazioni militari in Ucraina, ma il presidente russo era poi tornato nuovamente sul tema il 27 febbraio, con una frase diretta agli alti comandi dell’esercito difficile da interpretare: «Preparare le forze di deterrenza dell’esercito russo a un regime speciale di servizio di combattimento».
Regime speciale
“Deterrenza nucleare” è un modo di dire tipico della Guerra fredda, quando gli armamenti nucleari statunitensi e sovietici erano installati in aree strategiche, con l’obiettivo di minacciarsi reciprocamente, scoraggiando un’aggressione nemica che avrebbe avuto conseguenze pesantissime anche per l’aggressore. L’ordine di Putin di adottare un «regime speciale» è invece difficile da interpretare, perché non fa parte dei classici ordini che vengono dati nell’ambito della deterrenza nucleare.
Gli stessi analisti e funzionari della difesa statunitense hanno ammesso di non avere le idee chiarissime su cosa implichi l’ordine, considerato che sia la Russia sia gli Stati Uniti mantengono costantemente il livello più alto di allerta per buona parte dei loro armamenti nucleari.
In particolare, entrambi i paesi hanno sempre pronti per il lancio i loro missili balistici intercontinentali (ICBM), che in pochi minuti possono colpire un obiettivo a migliaia di chilometri di distanza, con l’ordigno nucleare che trasportano. Lo stesso avviene per i sottomarini di entrambi i paesi, in grado di lanciare in poco tempo missili verso i loro obiettivi.
Deterrenza
In generale, mantenere lo stato di alta allerta permette a chi viene attaccato di rispondere molto velocemente, conducendo un contrattacco con una maggiore portata rispetto a quella dell’attacco subìto. Secondo i princìpi della deterrenza nucleare storicamente seguiti dagli Stati Uniti, l’eventualità di una rapida escalation di questo tipo riduce il rischio che una potenza nucleare decida di condurre un attacco.
I detrattori di questa impostazione sostengono che avere gli ICBM sempre pronti costituisca comunque un alto rischio, perché porta a prendere decisioni dalle conseguenze catastrofiche in pochissimo tempo, dato che i sistemi di attacco o contrattacco sono da subito disponibili. Un attacco potrebbe essere inoltre avviato per errore, a causa di informazioni scorrette o incomplete.
Per mitigare questo problema nel tempo sono state proposte diverse soluzioni. La più discussa consiste nel mantenere gli arsenali in alta allerta, ma separando i missili dagli ordigni nucleari che vengono montati sulla loro sommità. In questo modo si dilaterebbero i tempi di intervento, offrendo qualche possibilità in più di riflessione prima di un attacco.
Anche questo approccio potrebbe però avere qualche rischioso effetto collaterale. L’annuncio di armare i missili, deciso per esempio per dare un chiaro segnale, potrebbe indurre una potenza nucleare nemica a interpretare la decisione come l’imminente avvio di un attacco da impedire a ogni costo, anticipando le mosse del nemico. Con un sistema di questo tipo, nel caso attuale, se Putin avesse disposto di armare i missili con le testate nucleari le reazioni sarebbero state probabilmente molto diverse, a cominciare da quelle della difesa degli Stati Uniti e degli altri paesi NATO.
Arsenali
La Russia dispone di circa 6mila ordigni nucleari, mentre gli Stati Uniti ne hanno circa 5.400. Al momento dell’avvio delle operazioni militari in Ucraina si stima che le testate russe pronte all’uso fossero circa 1.600, da impiegare con lanciatori di terra, mare e aria. Finora non sono emersi elementi per ritenere che il «regime speciale» richiesto da Putin implicasse un aumento delle capacità di attacco intercontinentali.
Oltre alle testate sugli ICBM, ci sono poi gli ordigni nucleari che possono essere lanciati con missili meno potenti, per esempio dalla Russia verso l’Europa occidentale, oppure da bombardieri strategici, aerei militari che sganciano le bombe sorvolando sugli obiettivi.
Stati Uniti e Russia non sono gli unici paesi ad avere armi nucleari, ci sono anche Francia, Regno Unito, Israele, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord. Negli ultimi decenni varie iniziative per contrastare la proliferazione nucleare hanno consentito di ridurre dell’80 per cento circa gli arsenali. Si stima che oggi nel mondo ci siano circa 12.700 ordigni, comunque una grande quantità: l’impiego di una frazione di questi potrebbe causare danni enormi su larga scala, con conseguenze per decenni in termini di contaminazione e non solo.
Imprevedibilità
Dopo l’invasione dell’Ucraina e le minacce di Putin riferite al nucleare, diversi analisti hanno condiviso le loro preoccupazioni sulle decisioni che potrebbe assumere il presidente della Russia. Se da un lato è vero che non ci sarebbero vantaggi strategici nell’utilizzare armi nucleari, dall’altro è altrettanto vero che Putin ha mostrato di avere cambiato il proprio metodo di azione, diventando meno misurato.
Molti analisi hanno sottolineato come Putin si sia isolato da molti dei propri consiglieri e come abbia espresso in più occasioni sfiducia, se non irritazione, nei confronti dei suoi più stretti collaboratori. La stessa decisione di invadere l’Ucraina avrebbe colto di sorpresa parte degli alti comandi militari, e questo spiegherebbe alcuni esiti dell’invasione finora con problemi organizzativi soprattutto nelle retrovie.
Strategia e tattica
Al di là delle dichiarazioni, Putin in questa fase non ha motivo di utilizzare armi nucleari: se è vero che finora ha faticato, l’esercito russo è comunque numericamente superiore a quello ucraino e i paesi della NATO hanno escluso un intervento diretto in Ucraina per contrastare l’invasione. Le sanzioni economiche, per quanto molto dure, non sono un elemento sufficiente per ricorrere a soluzioni diverse dalle armi impiegate finora.
Un attacco nucleare da parte della Russia comprometterebbe qualsiasi eventuale vittoria del suo esercito in Ucraina. Susciterebbe inevitabilmente una risposta molto più forte da parte della comunità internazionale e allontanerebbe la Cina dalla posizione mantenuta finora, di paese che sostanzialmente osserva e non si intromette.
È possibile che Putin abbia fatto allusioni al nucleare per inviare un segnale ai paesi della NATO, con l’obiettivo di creare un ulteriore deterrente all’ipotesi di un loro intervento militare in Ucraina, per ora comunque estremamente remoto.