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Redazione 20 febbraio 2023 23:11

Più che una votazione, un plebiscito. Quei 33 voti con cui Stefano Pioli si è aggiudicato la “Panchina d’Oro” come miglior tecnico dell’anno 2021/2022 altro non sono che il giusto riconoscimento nei confronti di chi, la scorsa stagione, ha condotto il Milan ad uno scudetto che senza dubbio verrà ricordato dai tifosi rossoneri – e non – come uno dei più entusiasmanti. “Sono emozionato – ha dichiarato sul palco – perché quando rivedo quello che abbiamo fatto l’anno passato le emozioni si sentono ancora. Grazie ai miei colleghi che mi hanno votato: condivido questo premio con tutte le persone speciali che lavorano a Milanello, con il club, i dirigenti che mi hanno sempre sostenuto, il mio staff che è il motore del mio lavoro e soprattutto con i miei giocatori perché ho sempre pensato e continuo a credere di allenare un gruppo speciale”.

Parole semplici, rigorosamente tra le righe, per un allenatore che in fondo ha fatto della pacatezza il suo punto di forza. Per carattere lontano dall’istrionismo di un Mourinho, e nemmeno in grado di scaldare i cuori della piazza al momento della sua investitura, come ad esempio capitato al Milan. Cosa per certi versi naturale, analizzando lo storico di quello che alcuni reputavano (verbo declinabile al presente prendendo in esame i suoi detrattori) nulla più che un onesto lavoratore della panchina, con tutte le avventure in Serie A finite male – con l’eccezione della stagione al Chievo – contando gli esoneri a Parma, Bologna, Roma (sponda laziale) e sulla panchina dell’Inter, omettendo quello surreale a Palermo (dopo appena due partite che costarono ai rosanero l’eliminazione dall’Europa League) e le dimissioni di Firenze.

Eppure, nella copertina patinata di una ipotetica rivista che ripercorra l’epopea tricolore del Diavolo, c’è lui. Arrivato a ottobre di tre anni prima, e restato in sella grazie all’accelerazione dell’ultima parte di stagione 2019/2020 (che ha permesso al Milan di chiudere almeno sesto), dà vita la stagione successiva ad un duello tutto sportellate con l’Inter di Conte, perso soprattutto nello scontro diretto di ritorno. Finisce secondo, ci riprova l’anno successivo dopo l’estromissione da Champions e Coppa Italia: senza l’aiuto di Ibra, però con quello dell’Inter che fa harakiri ma anche con nove clean sheet nelle ultime undici uscite che confermano la solidità di un gruppo cresciuto, maturato sotto la sua guida nonché molto rivalutato sia qualitativamente che sotto il profilo economico.

E’ stato il suo primo trofeo da tecnico, ed ora arriva la sua prima “Panchina d’Oro” in carriera. Molto zen nel suo essere paziente, accomodante nei confronti degli episodi spiacevoli che hanno contrassegnato la sua carriera, ma anche “on fire” nei cori di tifosi e giocatori e nel aver saputo incendiare la miccia dell’entusiasmo e della consapevolezza dei propri mezzi nella squadra, deflagrata nella primavera poi colorata di tricolore. Merito e applausi a Stefano Pioli, che ha saputo convertire nella dolcezza di una vittoria le amarezze delle pregresse sconfitte, dalle quali ha aputo trarre giovamento ed insegnamento. Un eroe silenzioso. Ma non tale per caso.

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