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Non solo non c’è stata l’”onda rossa”, la supervittoria dei repubblicani che era stata preconizzata da molti sondaggisti a cominciare da quella star dei polls che è Nate Silver, ma rovistando tra gli infiniti numeri di queste elezioni americane di mid term si scopre che nè è uscito incrinato il trumpismo. Perché parte dell’elettorato repubblicano, il Grand Old Party conservatorvia comincia a sganciarsi dalla deriva di torsione al sistema democratico imposta dal tycoon di Mar-a-Lago.

Sono stati in gran parte sconfitti i candidati che Trump aveva quasi imposto al partito dell’Elefante, a cominciare dalla Pennsylvania dove è non stato eletto senatore il medico negazionista trumpiano Mehmet Oz, ed è pure diventato governatore il Dem Josh Shapiro invece di Doug Mastriano, il cospirazionista, antiabortista e super sostenitore di Trump al punto da essersi fatto i selfie con gli assaltatori di Capitol Hill del 2021. E per finire con la riconferma, in Florida e con margine amplissimo, di Ron De Santis – trisavoli avellinesi – il repubblicano che di Trump è arcinemico, e che potrebbe scippargli la nomination per le presidenziali del 2024 (e che Trump non ha nemmeno nominato nell’elenco delle sue vittorie, limitandosi a sibilare una minaccia “se decide di candidarsi, io racconterò di lui cose che non sa neanche sua moglie…”).

Di avere in realtà perso queste elezioni impostate come un referendum su se stesso, Trump lo sa: mentre Biden ancora non commenta il risultato, lui scende nella sala stampa travestita da party all’ora del dopocena per esultare “qui abbiamo 80 vittorie”. Lo fa per dettare la narrazione: sa che i media di tutto il mondo racconteranno la red wave fallita. E il primo a dirlo chiaro mentre scorrono i dati è stata la più astuta delle vecchie volpi del GOP, Lindsay Graham: “questa non è un’onda rossa, maledettamente non lo è”. Certo, Biden perde la maggioranza alla Camera. Ma questo era dato per scontato: nessun presidente in carica ha mai vinto le elezioni di metà mandato, a parte George W.Bush per reazione dell’elettorato all’attentato alle Twin Towers del 9 settembre 2001, e Bill Clinton nel 1998, per reazione alla richiesta di impeachment per lo scandalo sessuale che l’elettorato giudicò eccessiva, essendo anche che l’era clintoniana fu quella di massima espansione economica per gli Stati Uniti. Al Senato la partita è invece ancora aperta: cruciali i risultati della Georgia – il cui governatore repubblicano rifiutò a Trump di contestare la vittoria di Biden – per i quali si dovrà andare al ballottaggio ai primi di dicembre, a meno che nel frattempo i conteggi non consegnino ai democrats una vittoria in Nevada.

Le elezioni sono state condizionate da due temi: l’inflazione – peraltro ampiamente provocata dalle fortissime iniezioni di liquidità volute da Biden e dalla Fed sin dall’inizio del mandato – giunta a livelli altissimi, fino al raddoppio dei prezzi di molti beni di prima necessità, e sottovalutata nella campagna elettorale, a parte la rincorsa delle ultime 2 settimane. E l’aborto: la cancellazione da parte della Corte Suprema a maggioranza trumpiana della garanzia di quel diritto a livello federale aveva dato ai Dem qualche speranza. Che poteva però aver già evaporato i suoi effetti. Non è andata così, e bisognerà vedere bene i dati (a cominciare da quelli sull’affluenza al voto delle donne), ma sembra che, specie laddove hanno vinto candidati parlamentari repubblicani, l’elettorato possa aver scelto come governatore un democratico: per difendere quel diritto, ma mandare al Congresso un rappresentante repubblicano, partito da sempre considerato più valido in economia (il refrain dei Dem negli ultimi 15 giorni è stato “non è così, questi repubblicani sono fermi alle ricette economiche degli anni ‘80).

E questo perché cancellando la garanzia federale sul diritto all’aborto contenuta nella sentenza Roe vs Wade, la Corte Suprema ha di fatto spostato sui vari stati la possibilità di decidere di quel diritto. Insieme alle elezioni di mid term, e oltre a svariate altre scelte, i cittadini di Michigan, Vermont, Montana, California, Kentucky hanno trovato anche la scheda per votare ad alcuni referendum: in Kentucky -uno degli Stati più conservatori- si trattava proprio della cancellazione del diritto all’aborto, e il 54% ha deciso invece di mantenerlo.Ma strategico sarà appunto capire i dettagli, gli “allegati” di queste elezioni. A livello federale così come a livello internazionale, l’attenzione è focalizzata sulla sfida rosso-blu, sulla misurazione della forza delle leadership di Biden e di Trump.

Ma negli Stati si è votato – in schede lunghe quanto un paio di fogli formato A-3 – anche per gli attorney general, e per varie altre cariche. Tra queste, quelle dei Segretari di Stato locali: non si tratta di diplomatici, ma dei dirigenti da cui dipendono (certo su indicazione dei governatori) l’organizzazione e soprattutto le regole con cui si svolgono le elezioni. Perché l’America non è l’Europa. Ogni stato ha una sua legge elettorale e decide dei sistemi di voto. Il voto è un diritto che può non essere esercitato: alle liste elettorali bisogna volersi iscrivere, e una sentenza della Corte Suprema ha cancellato nel 2013 le garanzie e le “agevolazioni” al voto per le minoranze. Sono le “minoranze” – cioè i neri, i latinos, gli asiatici – a votare con preferenza per i democratici, e per evitare che questo accada nel corso del tempo, ma particolarmente in epoca trumpiana, i governatori repubblicani hanno lavorato di “gerrymandering” e tutti gli artifici per manipolare preventivamente il voto, a cominciare dal ridisegno dei collegi e dal proibire o rendere molto difficoltoso il diffusissimo early voting, ovvero il voto per posta, per email, o anche il voto fisico in data anticipata. La vera sfida alla democrazia negli Stati Uniti è questa: l’attacco al diritto di voto.

Queste elezioni di mid term, limando le unghie allo strapotere trumpiano sul territorio che mirava a manipolare i meccanismi di funzionamento della democrazia americana, aprono la possibilità di rafforzare quella infragilita democrazia. E il moderatismo di Biden potrebbe riavviare la tradizionale dinamica di confronto parlamentare , invece che di scontro, con il vecchio Grand Old Party. Forse, naturalmente.