Per la prima volta da settimane, l’Iran ha riconosciuto di aver venduto alla Russia una fornitura di droni dello stesso tipo di quelli usati contro obiettivi in Ucraina negli ultimi tempi. L’ammissione viene dal ministero degli Esteri iraniano ed è la prima: a lungo le autorità del paese si erano rifiutate di riconoscere che i droni usati dall’esercito russo fossero di fabbricazione iraniana, benché sia stato da tempo provato senza possibilità di dubbi grazie a foto, grazie all’intelligence e dall’analisi dei resti dei velivoli.
Sabato il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha riconosciuto che l’Iran «ha fornito un piccolo numero di droni» alla Russia, ma ha detto di averlo fatto «mesi prima dell’inizio della guerra in Ucraina». Ha smentito tuttavia di averne inviati altri dopo l’inizio dell’invasione (anche se i droni usati finora sono centinaia) e ha smentito le indiscrezioni giornalistiche secondo cui l’Iran potrebbe anche inviare alla Russia forniture di missili. L’ammissione dunque è decisamente parziale.
I droni di fabbricazione iraniana, chiamati Shahed-136, hanno inciso molto sull’ultima fase della guerra. Sono lunghi circa 3 metri e hanno un’apertura alare di 2,5. Possono volare per più di duemila chilometri in maniera autonoma seguendo delle coordinate GPS, e trasportare fino a circa 50 chili, apparendo a malapena sui radar dell’aviazione. Appartengono alla famiglia dei cosiddetti “droni kamikaze”: si schiantano contro un obiettivo facendo detonare il proprio esplosivo, se armati, e quindi autodistruggendosi.
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