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L’interprete di Emily in Paris sta vivendo un momento di grande successo con la terza stagione della serie. Anglo-americana, figlia del batterista dei Genesis Phil Collins, si porta dietro una vita agiata ma non facile, come ha raccontato nella sua autobiografia. Ma ora apprezza la “vie en rose” alla francese. E rivela di aver giocato sulle ginocchia di re Carlo III…
di Stefano Montefiori
Quando l’americana Emily comincia finalmente a combinare qualche vero disastro sentimentale, la parigina Sylvie esulta: «Ah Emily, diventi sempre più francese ogni giorno che passa». Americani puritani e ossessionati dal lavoro, francesi libertini e attenti prima di tutto a godersi la vita: il successo planetario della serie Emily in Paris si fonda sul contrasto tra le due sponde dell’Atlantico, sul fascino eterno di Parigi e sugli occhioni sgranati di Lily Collins, l’attrice che interpreta l’inesperta (almeno all’inizio) ragazza di Chicago alle prese con il savoir vivre sulla Senna.
Lily Collins, la mia Emily in Paris
Stereotipi? Lo abbiamo chiesto alla protagonista: 33 anni, anglo-americana, figlia del grande batterista Phil Collins e dell’attrice californiana Jill Tavelman, Lily Collins ha avuto una vita sicuramente agiata ma non facile, che lei stessa ha raccontato nell’autobiografia Senza filtri (Fabbri, 2017), tra disturbi alimentari e il dolore di sentirsi abbandonata dal padre rockstar.
Ma la giovane attrice e ambasciatrice della maison Cartier, che incontriamo all’Hotel Bristol a due passi dall’Eliseo, oggi più che alla ragazza anoressica Ellen nel film Fino all’osso fa pensare alla gioia di vivere e all’entusiasmo di Emily.
Conosceva Parigi prima di girare la serie?
Sì, ci sono venuta spesso, ma da turista. Sono cresciuta per metà in Inghilterra e per metà in America, ho viaggiato spesso in Francia e in Svizzera. Ma stavo a Parigi solo per qualche giorno, mai per cinque mesi di fila come è successo grazie alla serie. Ho imparato a conoscere la città in un modo diverso.
Quali zone di Parigi le piacevano di più prima, e quali adesso?
Prima di Emily in Paris frequentavo i classici luoghi da turista, la Tour Eiffel, il Louvre… Posti magnifici, ma adesso preferisco passeggiare per il Canal Saint Martin, andare in bicicletta lungo la Senna, perdermi nelle stradine del Marais, frequentare certi fantastici locali jazz che mi hanno fatto scoprire i miei amici parigini e magari comprare i macaron non nel grande negozio famoso ovunque, ma nell’ottima boulangerie all’angolo.
L’attrice e modella, 33 anni, è nata nel Surrey ma è cresciuta a Los Angeles, dove si è trasferita con la madre Jill Tavelman dopo il divorzio dei genitori. Giacca e abito Celine by Hedi Slimane. Borsa, orecchini e collana Cartier. Foto di Andrea Gandini
Che cosa pensa del successo di Emily in Paris nel mondo?
La prima stagione è uscita nell’ottobre 2020, quando eravamo ancora immersi nella pandemia. È una serie che celebra l’evasione, i viaggi, la moda, il divertimento e la gioia di vivere, e ha permesso a tutti di sorridere nel momento in cui ne avevamo più bisogno. Quando siamo tornati a Parigi a girare le stagioni successive gli abitanti ci hanno accolto in modo fantastico.
Quella Parigi così perfetta
Eppure, in Francia le critiche non sono mancate. Molti hanno accusato la serie di dipingere una Parigi da cartolina, troppo bella e glamour per essere vera.
Ma è una serie tv che si fonda sulla sospensione dell’incredulità che abbiamo tutti quando guardiamo un film. Soprattutto la prima stagione racconta l’ingenuità di Emily, il suo sbarcare a Parigi piena di innocenza e di curiosità. Mano a mano, il suo sguardo diventa più complesso e realistico, ma Parigi nella serie è una protagonista, un personaggio creato da Darren Star (già regista di Sex and the City, ndr), che costruisce storie destinate a rimanere nella cultura pop usando un’estetica molto specifica. Se cercate un documentario, non è quello che vi daremo, ma credo che il cuore e l’anima della città emergano comunque dalle esplorazioni dei vari personaggi.
Perché Parigi è così importante nell’immaginario americano, dall’«avremo sempre Parigi», battuta del film Casablanca, in poi?
A Parigi trovi l’accesso al passato e lo slancio verso il futuro. Storia e cultura sono più radicate e si estendono per molto più tempo rispetto all ‘America, è un fascino irresistibile. Ha qualcosa di esotico e allo stesso tempo confortevole, perché è raccontata al cinema da decenni. Le persone sentono di conoscerla, eppure resta ancora abbastanza estranea da essere intrigante da esplorare. È una città in cui puoi perderti e trovare sempre qualcosa di nuovo e di bello, senza avere paura.
La joie de vivre
All’inizio Emily sembra molto colpita dalla libertà sessuale dei parigini.
È una persona curiosa che vuole inserirsi sempre di più nel nuovo ambiente, e sa di non poterlo fare se non lo capisce. Quindi fa un sacco di domande, che risultano piuttosto divertenti. La sua confusione, che si tratti della libertà sessuale degli europei o della loro etica del lavoro, sorprende molto i suoi colleghi francesi. Poi impara da loro e diventa più aperta e libera nella seconda e nella terza stagione.
Quanto all’etica del lavoro, uno dei temi della serie è che i francesi sembrano lavorare meno degli americani. Sono solo stereotipi o c’è un fondo di verità?
È uno dei motivi per cui Parigi attrae tanto: la qualità della vita. A Parigi non si vive per lavorare, si lavora per vivere. La professione è fondamentale anche qui, certamente, ma la spinta ancora più importante è l’ambizione a vivere bene. Questo equilibrio tra vita privata e professionale è straordinario, e rende Parigi e la Francia diverse dagli Stati Uniti.
Lily Collins ha cominciato a recitare all’età di 2 anni nella serie della Bbc Growing Pains. Giacca e pantaloni Fendi. Orologio, orecchini, anello e borsa Cartier. Décolleté Gianvito Rossi. Foto Andrea Gandini
Emily è femminista
Si può dire che Emily in Paris sia una serie femminista?
Sicuramente celebriamo le donne di tutte le età in un modo che non molti spettacoli hanno fatto. E anche al di fuori della serie, le attrici di Emily in Paris si mostrano in modo potente, eclettico e sicuro: da Philippine Leroy-Beaulieu (Sylvie), che è fantastica, è stato un onore lavorare con lei, a Ashley Park (Mindy) a Camille Razat (Camille) a Kate Walsh (Madeline). Sono donne non omologate, che possono impegnarsi nel lavoro ed essere innamorate dell’amore, senza bisogno di scegliere l’uno o l’altro.
Le strade di Parigi sono piene di ragazze con il basco come Emily. Che cosa pensa del fatto che tante si ispirino al suo personaggio?
So che il basco rosso esiste da molto tempo così come la frangia, però adesso sono tornati di moda. È incredibile pensare a quanto sia influente la serie, ci sono persone che si lasciano ispirare da quello che dici o da quello che indossi. Questo mi spinge a cercare di essere la più autentica possibile.
Sente la responsabilità?
Sì. Sono sempre stata una persona che si confronta con gli altri e non voglio che questo venga mai meno. Ci sono persone che mi hanno detto di essere state aiutate dal mio libro, o dal film che ho fatto, o che si sono tagliate i capelli perché me li sono tagliati io. È un contatto personale che mi aiuta a crescere. Imparo molto su di me attraverso queste interazioni, e lo apprezzo molto. Non mi provoca ansia, ma non è certo una cosa che prendo alla leggera.
L’attrice è sposata dal 2021 con il regista Charlie McDowell.
Giacca e pantaloni Celine by Hedi Slimane. Camicia Jil Sander by Lucie and Luke Meier. Orecchini, collana e anello Cartier. Décolleté Valentino Garavani. Foto Andrea Gandini
Perché ha scelto di essere ambasciatrice di Cartier?
Come dicevo prima cerco di essere autentica in ogni cosa che faccio, e se ho scelto Cartier è perché i miei genitori avevano entrambi orologi Cartier. Mia madre in particolare portava un orologio da uomo, molto grande per il suo polso, che mi affascinava molto. C’è un dualismo nella maison che mi piace: duro e morbido, pratico e onirico, maschile e femminile.
Con quali registi le piacerebbe lavorare in futuro?
Vorrei fare di nuovo un film con David Fincher, che mi ha diretta in Mank, e con Bong Joon-ho, che ho conosciuto per Okja. Tra i registi con cui non ho mai lavorato e che ammiro molto, Ruben Östlund e Pedro Almodovar.
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È vero che da bambina Carlo d’Inghilterra l’ha tenuta sulle ginocchia?
Sì ( ride), ero con la mia famiglia a un evento del “Prince’s Trust”, l’organizzazione di beneficenza fondata dall’allora principe Carlo. Lui mi ha fatta giocare, ma ero così piccola che non mi rendevo conto di cosa stessi facendo.
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