Jack Lowden è il tipo che risponde sempre a tono. Fin troppo, soprattutto per gli standard delle interviste dove larghi margini di discrezionalità sono auspicabili. Se gli chiedi fino a che punto il lavoro fatto nella riuscita serie Slow Horses(Apple+, seconda e terza stagione già annunciate), racconto antiglamorous dell’universo di spie inglesi scalcinatissime e reiette che abita Slough House, l’abbia preparato per un’eventuale audizione per il prossimo 007 («ma ci vorrà tempo» ha rivelato Barbara Broccoli), risponde: «Slow Horses è MI5…», controspionaggio interno. Poco pertinente.
Sheila Atim e Jack Lowden, i premiati con il Throphée Chopard all’ultimo Cannes film festival. (Photo by Pascal Le Segretain/Getty Images)
Eppure Jack Lowden, premiato insieme alla collega Sheila Atim all’ultimo festival di Cannes con il Throphée Chopard che ogni anno individua due talenti emergenti tra gli attori, non ha niente del radicalismo di chi si porta il personaggio a casa la sera. E quando dice, con una luce che assomiglia al fuoco sacro negli occhi, che «sta davvero tutto nella presenza in palcoscenico», non la sta mettendo giù dura. Al contrario: «Mi piace stare lì sopra, mi piace far ridere la gente». Cose semplici. Come la scelta di essere attore dopo aver guardato troppo a lungo un vhs di Lord of the Dance con Michael Flatley da ragazzino insieme a suo fratello Calum. Flatley è il Nureyev della danza irlandese, disciplina in cui i due fratelli scozzesi ambivano a misurarsi: «Ne eravamo ossessionati». Oggi Calum è primo ballerino del Royal Swedish Ballet, «lui era fenomenale, io ero scarso, molto scarso» ammette Jack. «Senza quasi che me ne accorgessi, mi avevano relegato al ruolo di narratore mentre tutti gli altri danzavano. Lì ho capito che era meglio se mi misuravo con la parola e non coi piedi».
Jack Lowden dalla Scozia rurale al teatro
Cresciuto nella Scozia rurale, Jack Lowden si diploma al Royal Conservatoire of Scotland e solo due anni dopo vince l’Olivier Award per l’interpretazione di Osvald negli Spettri di Henrik Ibsen. Passa da Nikolaj Rostov della miniserie tv Guerra e Pace a Morrissey, il cantante degli Smiths nel film England is mine. Lavora con gli autori – Terence Davies in Benediction, ritratto del poeta Siegfried Sassoon, e sul set di Maria regina di Scozia nel 2018 incontra Saoirse Ronan, sua compagna da allora.
Con Saoirse Ronan in Maria regina di Scozia.
«Ma quella prima volta in palcoscenico ha rappresentato per me il momento in cui tutto si è deciso, ho subito amato quella sensazione, tutto ha a che vedere con il fatto di essere in quel luogo, lo adoro e lo adorerò sempre. Anche alla cerimonia di premiazione, quando mi hanno dato il microfono per il discorso mi sono detto: “Questa è la mia parte preferita”».
Il teatro, primo amore
Il desiderio insopprimibile degli attori di essere guardati e amati dal più grande numero di persone?
Fin da piccolo volevo far ridere la gente. Mi faceva sentire forte. Ma non è lo stessa cosa davanti alla macchina da presa. Nessuno sui set ha voglia di ridere o di provare emozioni, Sono tutti molto seri e concentrati. Sul palco invece è puro piacere. Il pubblico ti chiede: «Fai qualcosa per me, fammi provare qualcosa, sfidami». E la risata è la sfida più grande.
In Inghilterra la frontiera tra teatro è cinema è porosa per gli attori, in Italia lo è molto di meno.
In quasi tutti i film che ho fatto in Inghilterra la mia parte preferita sono gli attori, più del regista. Perché vengono dal teatro e non si prendono sul serio. Affrontano il lavoro molto seriamente, ma non se la tirano mai. Tra un ciak è l’altro sono davvero loro stessi, non i loro personaggi.
Gary Oldman e Jack Lowden alla première londinese delle serie “Slow Horses” (Photo by David M. Benett/Dave Benett/Getty Images for Apple).
Gary Oldman non fa il divo?
Nooo. Gary è un’overdose di camaraderie, la piacevolezza condivisa tra amici e colleghi. Non c’è differenza di classe o di età quando sei in scena o nei camerini. Molto dipende dalla formazione che riceviamo, non ci sono truccatori e parrucchieri in teatro, devi imparare a cavartela da solo, l’atmosfera che si crea tra gli attori è di grande collaborazione. Quando sei su un set invece perdi la tua indipendenza nella parcellizzazione dei compiti. E poi ci sono sempre molti soldi in ballo, il che vuol dire molto nervosismo.
Però il vostro è un mondo endogamico: vi frequentate tra di voi, vi innamorate tra di voi. Con la sua compagna Saoirse Ronan, irlandese, celtica come lei, avete creato una compagnia di produzione.
Tre anni fa, girando un piccolo film in Scozia, Kindred, ho capito che volevo produrre, ho cercato di imparare in fretta e decidere di farlo con Saoirse è stato automatico. Quando durante il lockdown ho letto il romanzo di Amy Liptrot, The Outrun (Nelle isole estreme, in Italia lo pubblica Guanda, ndr) ho capito che quello era il film che dovevamo fare. E Saoirse lo interpreta.
Con la fidanzata Saoirse Ronan agli Australian Open. (Photo by Graham Denholm/Getty Images)
Isole Orcadi, posto molto romantico e molto ventoso.
Molto. La troupe infatti lo detesta. Ma se io potessi filmare sempre in Scozia sarei felice.
Farete più film scozzesi? In molti sono venuti da fuori a raccontare la vostra storia, Mel Gibson è stato considerato per una stagione una sorta di patriota scozzese per Braveheart. Ora lei vive a Londra, però…
Non ho scelta, ma il mio legame con la mia terra è molto forte. La vedo come Tilda Swinton e come la vedeva Sean Connery sull’indipendenza. Fino al 2014, quando c’è stato il referendum sulla separazione dal Regno Unito non avevo mai formulato un pensiero politico sulla questione, ma quello è stato un momento straordinario, si è liberata una grande energia che ha reso noi giovani politicamente consapevoli, prima non lo eravamo. In Scozia puoi votare a 16 anni e quello che ci rende diversi ci è chiaro fin da quando siamo bambini. Le differenze tra noi e il resto del Regno Unito sono molte e sono bellissime. È meraviglioso che esista un posto che le riunisce tutte, ma questo ha creato per noi un problema di autostima. Da scozzese ho sempre dovuto lottare per avere fiducia in me stesso e come l’ho fatto io ha dovuto farlo anche la nazione scozzese. La storia ci dice che non siamo bravi a stare insieme, sarebbe favoloso riuscire a separarci da quello che succede a Westminster, perché tra noi e quel palazzo c’è una disconnessione totale.
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Si è misurato con la grande macchina del cinema americano in Dunkirk di Christopher Nolan. Un’altra disconnessione?
La cosa più bella in Dunkirk era guardare Cillian Murphy e Tom Hardy al lavoro (il primo irlandese, il secondo inglese, ndr). Non ho mai preso seriamente in considerazione un trasferimento a Hollywood, troppo lontano dal mare gelido dove mi piace nuotare e lontano dal teatro dove spero di lavorare per sempre. E comunque in California c’è troppo sole.
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