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Intervista a Pier Filippo Giuggioli, professionista del Foro di Milano che, con un comitato di colleghi, ha già depositato in Parlamento una legge d’iniziativa popolare per il riconoscimento delle attività certificatorie. «Ora servono molte firme, non ci possiamo accontentare del minimo di 50mila. Sarebbe anche la risposta all’esclusione, realizzata col decreto civile, da funzioni prima riservate al giudice che sono state estese ai soli notai, nonostante la diversa indicazione della delega. Non capirei l’indifferenza della categoria»

Un tradimento. «Sì, è stato tradito lo spirito della legge delega sul processo civile. Che era chiaro. Prevedeva di alleviare il giudice dal peso esclusivo delle attività certificative nell’ambito della volontaria giurisdizione. E di affidare dunque funzioni di autenticazione anche ai notai e “ad altri professionisti dotati di specifiche competenze”. Seppur non esplicitato, il riferimento era a noi avvocati. Poi però il decreto attuativo ha circoscritto le nuove attribuzioni ai soli notai. Ci ha esclusi. Ora è giusto che la nostra professione si faccia sentire».

Pier Filippo Giuggioli, avvocato del Foro di Milano, ha assunto un’iniziativa molto concreta: insieme con un Comitato di promotori che annovera diversi altri colleghi, ha depositato in Parlamento, già nella scorsa primavera, una legge d’iniziativa popolare che consentirebbe di intervenire lì dove il testo attuativo di Cartabia è venuto meno.

Ora naturalmente vanno raccolte le firme. Almeno 50mila. «Ma noi avvocati siamo molti di più, e dovremmo cogliere un’occasione del genere. Finora, nonostante la possibilità di sottoscrivere anche in modalità digitale, la mobilitazione non è stata adeguata all’importanza dell’obiettivo».

Cosa intende dire, avvocato Giuggioli?

Abbiamo raggiunto 30mila firme. Tante. Ma me ne aspetto molte di più. Dobbiamo dare un’idea di unità, forza e convinzione. Che non si vede ancora. Andrò dal ministro Carlo Nordio. Ma se mi presento con le 50mila firme appena necessarie a convalidare la proposta, si limiterà a valutarne il contenuto: si tratterebbe del 20 per cento appena degli avvocati. Altro sarebbe se la legge fosse sottoscritta da 100mila, 200mila colleghi: in quel caso il guardasigilli dovrebbe ascoltare la voce forte di un’intera categoria.

Avete creato una piattaforma on line, www.ampliamentofunzioniavvocati.it, e organizzato incontri con diversi Ordini.

Ve ne saranno ancora. Dietro l’esclusione di noi avvocati, s’intravede persino una mortificazione.

Perché?

Noi avvocati siamo coinvolti in prima linea nelle attività deflattive del contenzioso. Poi però se si tratta di affidare l’autenticazione delle firme di chi realizza la compravendita di un box, non siamo più tenuti in conto.

Come se ancora non si avesse piena considerazione dell’avvocato.

Che appunto alcuni vorrebbero cristallizzare ancora come figura solo di parte: eppure la mediazione, per esempio, già ci ha resi un punto di riferimento, quanto a terzietà. Oggi l’avvocato deve sentirsi pienamente in grado di svolgere attività come quelle notarili senza alcun timore. Siamo sempre più specializzati, ci aggiorniamo continuamente, possiamo farlo anche in un ambito del genere. Dimostriamo continuamente la nostra imparzialità. Un esempio: i procedimenti arbitrali. L’avvocato oggi non è solo colui che litiga. E già assicura di fatto le prestazioni la nostra legge intende veder riconosciute.

Quali attività, già di fatto appannaggio del Foro, la vostra legge riconosce anche formalmente?

Già oggi quotidianamente l’avvocato predispone gli atti in materia di negoziazione per compravendita immobiliare, redazione di statuti, acquisizione di partecipazioni societarie o fusioni. Si va dal notaio solo per farsi apporre un sigillo, ma l’atto non viene modificato di una virgola. Chiediamo appunto di vederci riconosciuta anche formalmente una funzione che già svolgiamo nella sostanza. Ne va della nostra dignità.

Chiarissimo avvocato. Il paradosso è che invece la riforma tributaria ha esteso la difesa anche a professioni diverse da quella forense.

Appunto. Associazioni e istituzioni dei commercialisti si sono prodotte, evidentemente, in un’intensa attività di lobbying. E hanno ottenuto una prerogativa che confligge con l’articolo 24 della Costituzione.

A proposito: le funzioni certificative, dunque pubblicistiche, incrociano in linea di principio l’idea dell’avvocatura in Costituzione. O no?

Sì, certo: se si riconosce che l’avvocato può assicurare all’ordinamento funzioni di certificazione per ora appannaggio dei soli notai, se ne valorizza il rilievo. E naturalmente se fosse inserito nella Carta il rilievo dell’avvocato, sarebbe ancora più intollerabile vedersi precluse quelle attività. I due aspetti comunicano fra loro. Aggiungo: è in ogni caso incomprensibile che già oggi l’avvocato, in vari casi, possa assumere il ruolo di autenticatore e che però non gli siano state attribuite le facoltà per le quali abbiamo predisposto la legge d’iniziativa popolare.

Teme che la categoria sia sfiduciata rispetto alla possibilità di cogliere l’obiettivo?

Molti non hanno compreso quale sia la posta in gioco. Intanto, le migliaia di avvocati che già oggi certificano compravendite immobiliari e atti societari potrebbero farlo in un quadro di maggiore efficienza, perché non sarebbe più necessario il passaggio dal notaio. Ma poi, pensiamo alla cosiddetta fuga dall’avvocatura: è dovuta al fatto che la professione non è più in grado di assicurare, soprattutto ai giovani, compensi adeguati. E allora com’è possibile non ritenere preziosa l’opportunità di trovare, con nuove funzioni, più ampie prospettive di carriera? Ciascuno dei 250mila avvocati italiani dovrebbe sottoscrivere la nostra legge, per mandare un segnale. Non ha senso che una parte della categoria resti indifferente.