Da venerdì scorso in molti distributori italiani il prezzo della benzina ha superato i due euro al litro e non sembra che con l’inizio della settimana le cose stiano migliorando, anzi: l’aumento dei prezzi non si è fermato e potrebbe continuare anche nei prossimi giorni, con conseguenze notevoli soprattutto per gli autotrasportatori.
L’invasione russa in Ucraina è soltanto una delle cause dell’aumento dei prezzi, legato all’andamento di molti altri indicatori che a loro volta possono essere influenzati direttamente o indirettamente dal conflitto in corso. La situazione è piuttosto complessa per via dell’incertezza generale e soprattutto perché è difficile capire quali saranno le conseguenze delle pesanti sanzioni decise da paesi e aziende occidentali nei confronti della Russia, uno dei maggiori produttori mondiali di energia.
Secondo l’Osservaprezzi carburanti, un osservatorio del ministero dello Sviluppo economico, già dalla scorsa settimana il prezzo medio della benzina a livello nazionale aveva superato 1,9 euro al litro in modalità self service, la meno costosa, mentre il prezzo medio del gasolio è sopra 1,7 euro al litro. I prezzi nella modalità “servito”, sia per benzina che per gasolio, invece hanno superato i due euro al litro.
Una delle cause dell’aumento dei prezzi della benzina è l’andamento del prezzo del Brent, il petrolio estratto nel Mare del Nord che serve da riferimento per la maggior parte dei prezzi mondiali.
Domenica il prezzo di un barile di Brent è stato molto vicino alla soglia di 140 dollari, non molto distante dal record assoluto di 147,5 dollari raggiunto nel 2008. Dopo un leggero calo nelle ultime ore, lunedì mattina il prezzo del Brent era ancora piuttosto alto: tra 127 e 130 dollari al barile. Dall’inizio dell’anno, il prezzo del Brent è aumentato di quasi il 10 per cento e l’andamento è stato in crescita in particolare nelle ultime due settimane, in seguito all’invasione russa in Ucraina.
Quando il prezzo del petrolio aumenta, aumenta anche il costo della benzina e del diesel, che sono il risultato del processo di raffinazione del greggio. Il costo finale del carburante è determinato anche da altri fattori, come per esempio le tasse imposte dallo Stato, ma solitamente quello che incide di più sull’andamento nel tempo è proprio il prezzo del petrolio.
Una delle ragioni dell’aumento del prezzo del Brent è stata una decisione presa la scorsa settimana dall’Opec+, l’alleanza di 23 paesi produttori di petrolio guidata dall’Arabia Saudita e che include anche la Russia: ha confermato di voler mantenere invariati i piani di incremento della produzione, che prevedono di arrivare a 400mila barili di petrolio al giorno. La decisione è stata presa nonostante la richiesta di un aumento più consistente presentata dagli Stati Uniti nel tentativo di far abbassare i prezzi.
Nel frattempo i 31 paesi che fanno parte dell’AIE, l’agenzia internazionale dell’energia, hanno deciso di collocare ulteriori 60 milioni di barili di petrolio delle loro riserve di emergenza per inviare «un messaggio unificato e forte ai mercati mondiali del petrolio che non ci saranno carenze di approvvigionamento a seguito dell’invasione della Russia in Ucraina». Al momento, come si può osservare dall’andamento dei prezzi della benzina, gli effetti di questa misura non ci sono stati.
Ma a incidere sul prezzo dei carburanti è anche l’effetto del cambio tra euro e dollaro: negli ultimi giorni l’indicatore è sceso in modo evidente fino a quota 1,09 (cioè un euro è valso 1,09 dollari) con una tendenza piuttosto negativa. Il cambio influisce direttamente sul prezzo della benzina perché con un euro forte il costo di un barile di petrolio è decisamente inferiore. Per esempio nel 2008, quando il costo del barile era arrivato a 144 dollari, con il cambio favorevole all’euro il prezzo finale in Europa era di 97 euro. Negli ultimi giorni, invece, con il prezzo del barile sopra i 110 dollari, il cambio sfavorevole ha portato i prezzi a superare la soglia di 100 euro al barile.
Oltre al prezzo netto del combustibile, che comprende anche i costi logistici del trasporto del carburante e il guadagno dei gestori della pompa di benzina, il prezzo finale della benzina è determinato anche dalle accise, cioè dalle tasse. Le accise ci sono in diversi paesi europei, ma in Italia sono storicamente molto alte. Alcune di queste sono delle imposte di scopo, introdotte dai governi per raggiungere determinati obiettivi, alcuni dei quali risolti ormai da tempo come la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963, dopo l’alluvione di Firenze del 1966, il terremoto del Friuli del 1976, dell’Irpinia 1980 e molti altri. La terza componente è l’IVA, che si calcola sia sul prezzo del carburante netto sia sulle accise, di fatto una tassa sulla tassa.
Le accise e l’IVA hanno un peso specifico notevole nella definizione del prezzo. Secondo la rilevazione diffusa dal ministero della Transizione ecologica relativa al 28 febbraio, accise e IVA costituiscono il 57 per cento del prezzo finale della benzina, mentre il prezzo industriale copre il 43 per cento. Le percentuali sono simili se si osserva il prezzo del gasolio: il 53,5 per cento è costituito da accise e IVA, il 46,5 per cento dal prezzo industriale.
L’ultimo report dell’UNEM, l’Unione Energie per la Mobilità, l’associazione che rappresenta le principali aziende che operano in Italia nell’ambito della lavorazione, della logistica e della distribuzione dei prodotti petroliferi, mostra che il gasolio in Italia costa 5,7 centesimi in più al litro rispetto alla media europea, ma se si tolgono accise e IVA il prezzo industriale italiano è inferiore di 7,8 centesimi. Lo stesso accade con la benzina: il prezzo è più caro di 3,9 centesimi rispetto alla media europea, ma senza le tasse il prezzo industriale è di 6 centesimi in meno rispetto al resto d’Europa.
Secondo Claudio Spinaci, presidente dell’UNEM, è ancora presto per capire cosa succederà ai prezzi anche se l’invasione della Russia in Ucraina sembra avere meno conseguenze dirette sul mercato dei carburanti rispetto a quello del gas, di cui la Russia esporta un’enorme quantità nei paesi europei.
In tutto il mondo, dice Spinaci, ci sono scorte strategiche di petrolio molto elevate che possono essere usate in caso di necessità anche per far fronte a riduzioni dell’offerta e limitare la speculazione internazionale. «Dopo l’esperienza degli anni ’70 e ’80, il petrolio si è strutturato in modo da assorbire eventuali crisi e riduzioni negli approvvigionamenti legate anche a tensioni geopolitiche», ha spiegato in un’intervista a Quattroruote.
Anche se l’Italia dovesse azzerare le importazioni di petrolio dalla Russia potrebbe trovare alternative più rapidamente rispetto al gas naturale, che importiamo in gran parte dalla Russia, da cui dipende il 43 per cento di tutte le importazioni dall’estero. «Dalla Russia ci arriva il 10% del greggio che importiamo», ha detto Spinaci. «La nostra capacità di raffinazione è diversificata: nel 2021 ci siamo riforniti da 22 Paesi, con 72 diversi tipi di greggio. Come già accaduto con le crisi di Libia e Venezuela, non sarebbe uno choc sostituire la Russia tra i nostri fornitori».