Dopo un anno di rinvii, domenica in Somalia si sono tenute le elezioni per eleggere il nuovo presidente: è stato scelto Hassan Sheikh Mohamud, 66 anni e già presidente tra il 2012 e il 2017. Nonostante il risultato sia stato considerato positivo da diversi osservatori, anche per il solo fatto di avere finalmente trovato un modo per tenere delle elezioni, tra l’opinione pubblica somala e diversi analisti c’è grande scetticismo sul fatto che Mohamud possa risolvere la profonda crisi che sta attraversando il paese. Le elezioni stesse si sono tenute con tempi e modi che raccontano molto delle difficoltà della Somalia: un anno dopo la fine del mandato del presidente uscente, dando la possibilità di votare solo ai parlamentari, e tra le molte preoccupazioni per eventuali attacchi di al Shabaab, gruppo terroristico islamista potente e presente in moltissimi settori dello stato e della società somala.
Hassan Sheikh Mohamud è un attivista pacifista e un professore, tra i fondatori di una delle più importanti università della Somalia. Domenica è stato eletto con 214 voti sui 328 totali dei parlamentari dopo tre votazioni a partire da 36 candidati.
Negli ultimi cinquant’anni la Somalia ha sempre avuto un sistema elettorale indiretto, in cui gli anziani dei clan eleggevano i deputati da mandare in parlamento, che a loro volta eleggevano il presidente. Nel 2020, l’ex presidente Mohamed Abdullahi Mohamed (detto Farmajo) aveva firmato una nuova legge elettorale che avrebbe dovuto permettere a ogni cittadino di esprimere la propria preferenza. Per via della situazione di scarsa sicurezza del paese, però, si era deciso di non procedere in questo modo e mantenere il vecchio sistema.
Le elezioni dei parlamentari si sono quindi svolte con trattative e incontri privati, all’interno di circoli esclusivi, con un livello di corruzione altissimo. Il senatore Abdi Ismail Samatar ha detto al New York Times che dal punto di vista della corruzione l’ultimo ciclo elettorale potrebbe essere classificato come il peggiore nella storia del paese.
Il presidente uscente, Mohamed, era stato molto criticato per aver provato a prolungare il proprio mandato dopo i quattro anni previsti dalla legge, che teoricamente si sarebbero dovuti concludere a febbraio dell’anno scorso con nuove elezioni. Da quel momento l’instabilità del governo aveva fatto crescere le tensioni e aveva lasciato ancora più spazio alle rivendicazioni antigovernative di al Shabaab: negli ultimi mesi ci sono stati frequenti attentati terroristici nel paese, con decine di morti.
Mohamed era stato inoltre accusato di avere colpito deliberatamente l’opposizione e la stampa, e per aver scatenato un incidente diplomatico col Kenya, che aveva alimentato la percezione di instabilità e insicurezza.
Le elezioni presidenziali di domenica – sollecitate anche dal Fondo monetario internazionale che le aveva imposte come requisito per poter accedere a 400 milioni di dollari – si sono svolte in un hangar aeroportuale rinforzato contro le esplosioni e protetto dalle forze di pace dell’Unione Africana, l’organizzazione intergovernativa che comprende tutti i paesi del continente africano riconosciuti dalla comunità internazionale. Domenica a Mogadiscio è stato imposto un coprifuoco e le strade sono state chiuse. Nonostante questo, dopo la notizia dell’elezione di Mohamud, folle di sostenitori hanno riempito le strade della città esultando e sparando verso il cielo.
Le rigide misure di sicurezza erano state rese necessarie dalla presenza di al Shabaab, gruppo che di fatto ha il controllo di un buon pezzo di economia nazionale, oltre che del sistema giudiziario e di altri settori. La Somalia sta inoltre attraversando un momento di profonda crisi: sia economica, a causa dell’aumento dell’inflazione, sia umanitaria, per via della grave siccità e degli effetti della guerra in Ucraina sui commerci di alcuni beni alimentari. Nelle ultime settimane più di 6 milioni di persone sono rimaste senza acqua e cibo, e molte famiglie sono state costrette a migrare dalle campagne alle città.
Dal 1986 in Somalia è in corso una guerra civile tra gruppi locali, che ha avuto diverse evoluzioni e che negli ultimi anni si è combattuta in particolare tra al Shabaab e il governo centrale.
Nel 1992 e per alcuni anni le Nazioni Unite e il governo degli Stati Uniti intervennero militarmente e mandarono aiuti economici e sostegno del governo somalo, con l’obiettivo di stabilizzare la situazione e risolvere i conflitti interni, anche se con scarsi risultati. Nel 2011 il gruppo terroristico al Shabaab – che è affiliato con al Qaida ed è stato attaccato dagli Stati Uniti in diverse operazioni militari – era stato cacciato dalla capitale Mogadiscio, ma è durata poco. Negli ultimi cinque anni è tornato a occupare la città, dove ora riscuote tasse sui commerci, amministra la giustizia con più efficienza di quanto facciano le istituzioni e arruola i giovani per coinvolgerli nelle sue operazioni terroristiche.
Dopo che a dicembre 2020 Donald Trump aveva deciso di ritirare le forze speciali impegnate in missioni di antiterrorismo in Somalia, lunedì il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato l’autorizzazione a rimandare nel paese alcune centinaia di militari americani. Inoltre, secondo quanto riportato dal New York Times, Biden ha autorizzato il Pentagono a procedere con operazioni militari che hanno come bersaglio alcuni terroristi di al Shabaab.