Come e perché Paolo Mieli torna a denunciare l’indolenza dei partiti
Paolo Mieli ci aveva già provato una volta, e di recente, sul Corriere della Sera a denunciare l’indolenza dei partiti -ben più grave della confusione e delle tensioni che li attraversano un pò tutti- procurandosi ironie e critiche con l’idea che ormai potremmo fare a meno di votare, tanto scontato è poi il ricorso del presidente di turno della Repubblica a qualche tecnico più o meno illustre, o persino di passaggio, per improvvisare un governo purchessia.
Ora, dopo il siparietto non so se più divertente o nervoso di Mario Draghi indisponibile a restare a Palazzo Chigi nella prossima legislatura per concezione o promozione di chissà quali o quanti partiti perché è in grado di trovarsi un lavoro da solo, l’editorialista del più diffuso giornale italiano, e insieme storico giustamente apprezzato, è tornato sull’argomento. E ha infierito contro “le scarse ambizioni” delle forze politiche, tanto combattive al loro interno quanto, chi più e chi meno, refrattarie all’idea di misurarsi davvero nelle urne, con adeguate norme elettorali, per uscirne vincitrici o sconfitte, L’ideale per loro è chiudere le partite elettorali senza vincitori e quindi anche senza sconfitti, o tutti sconfitti, in modo da affollare il Parlamento di “minoranze”, come ha quasi rivendicato -anche se Meli non lo ha ricordato- il segretario del Pd Enrico Letta nelle scorse settimane contestando alla coalizione -sulla carta- del centrodestra di sentirsi maggioranza relativa e rivendicare il diritto di mandare per la prima volta un suo candidato al Quirinale per la successione a Mattarella.
L’analisi politica – e storica, ripeto- di Paolo Mieli dopo quasi trent’anni di seconda, terza e forse anche quarta Repubblica, tutte contrassegnate da leader più che da partiti, gli uni e gli altri precari ancor più delle apparenze, deve avere contribuito alle riflessioni del direttore dello stesso Corriere della Sera, Luciano Fontana, in risposta ad un lettore impressionato dalla profondità ormai della crisi del partito di maggioranza relativa di questa legislatura: il MoVimento 5 Stelle. Di cui non si sa neppure di quanti regolamenti disponga di fronte all’ordinanza del tribunale di Napoli che ne ha sospeso i vertici.
Alle “stagioni effimere” dei leader, chiamiamoli così, che si succedono e si confrontano Luciano Fontana ha opposto giustamente -ma temo solo retoricamente, visto il poco tempo a disposizione delle Camere per esaminare prima della loro scadenza le misure necessarie- l’urgenza di una “rifondazione delle forze politiche” basata sul “radicamento nel territorio, partecipazione e regole democratiche, selezione attenta delle classi dirigenti, finanziamenti trasparenti”. “Altrimenti è inutile lamentarsi che si debba sempre invocare un tecnico per salvare la baracca”, ha concluso il direttore del Corriere, ammesso e non concesso naturalmente che l’appena confermato presidente della Repubblica Mattarella riesca a trovarne dopo il disimpegno preannunciato, minacciato e quant’altro da Draghi.
L’unico scenario oggi immaginabile è quello proposto dallo stesso Corriere, quasi a corredo dell’editoriale di Mieli, con una illustrazione di Domenico Solinas di un governo composto da punti interrogativi travestiti, peraltro, tutti da uomini, senza uno straccio femminile.
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- 14 Febbraio 2022