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- sabato 11 Marzo 2023
Le attività di bonifica alla centrale nucleare gravemente danneggiata dal terremoto e dallo tsunami in Giappone del 2011 proseguono, tra enormi ritardi e preoccupazioni per l’ambiente
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Oggi in varie città del Giappone sono state ricordate le oltre 20mila persone morte a causa del terremoto di magnitudo 9 e del conseguente tsunami che si verificarono l’11 marzo del 2011. Le commemorazioni sono avvenute in un momento difficile per il governo giapponese, che con difficoltà sta portando avanti le attività di bonifica dell’impianto nucleare di Fukushima, gravemente danneggiato dallo tsunami di 12 anni fa. Da mesi si discute di un piano per versare nell’oceano Pacifico una grande quantità di acqua contaminata dalla radiazioni. Per il governo l’operazione è inevitabile, ma ci sono dubbi e preoccupazioni da parte di vari osservatori sulle eventuali conseguenze per l’ambiente.
Lo scarico dell’acqua nell’impianto è comunque solo una delle numerose attività di bonifica della centrale nucleare di Fukushima, che richiederanno decenni per essere effettuate. Il governo giapponese ritiene di poter completare tutte le operazioni entro il 2051, ma ci sono forti dubbi sulla fattibilità del piano considerati i grandi ritardi accumulati finora.
Di recente alcuni giornalisti dell’agenzia di stampa Associated Press hanno avuto la possibilità di visitare parte dell’impianto, avvicinandosi a una trentina di serbatoi utilizzati per contenere parte dell’acqua contaminata. Tokyo Electric Power Company Holdings (TEPCO), la società che gestisce l’impianto, confida di completare entro la primavera la costruzione di una struttura in cemento che sarà impiegata per diluire l’acqua, dopo i necessari trattamenti di decontaminazione, prima di rilasciarla nell’oceano tramite una conduttura che arriva a circa un chilometro di distanza dalla costa. TEPCO dovrà ottenere le autorizzazioni dall’Autorità per il nucleare giapponese e dovrà sottoporre il proprio sistema a verifiche da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite (AIEA).
Il terremoto e lo tsunami del 2011 danneggiarono i sistemi di raffreddamento della centrale di Fukushima, causando la fusione dei reattori 1, 2 e 3 dell’impianto con una perdita significativa di radiazioni. Da allora, per evitare che la temperatura dei reattori aumenti, vengono utilizzate ogni giorno centinaia di tonnellate di acqua per raffreddarli: in parte l’acqua viene riutilizzata, ma ci sono limiti di legge sui livelli di contaminazione e rischi nell’utilizzare acqua sempre più radioattiva nei reattori, a loro volta già danneggiati. L’acqua viene poi trattata e raccolta in serbatoi, che sono stati via via costruiti intorno alla centrale. Ormai ce ne sono circa mille che contengono acqua trattata, ma con livelli di radioattività tali da non potere essere rilasciata nell’ambiente.
Secondo TEPCO i livelli di radioattività possono essere ridotti con alcuni trattamenti e una maggiore diluizione dell’acqua. Le procedure non consentiranno comunque di eliminare il trizio (un isotopo dell’idrogeno), ma la sua concentrazione sarà tale da non costituire problemi, sempre secondo TEPCO. Il trizio viene ciclicamente rilasciato anche dagli impianti nucleari che funzionano normalmente e a basse concentrazioni non costituisce solitamente un rischio per l’ambiente.
L’accumulo di acqua contaminata era stato da subito un problema a Fukushima. Nelle prime fasi dell’emergenza se ne era raccolta molta sulla base di cemento che isola i reattori dal terreno, con una contaminazione del suolo sottostante. I tecnici di TEPCO hanno spiegato ad Associated Press che lo svuotamento è necessario per avviare lo smantellamento dei serbatoi, in modo da avere lo spazio necessario per procedere con le altre attività di bonifica della centrale nucleare. I serbatoi sono al 96 per cento della loro capacità e agli attuali ritmi saranno pieni entro il prossimo autunno, con un totale di 1,37 milioni di tonnellate di acqua.
I tecnici dicono che ci sono inoltre altri motivi di sicurezza tali da rendere necessario lo svuotamento dei serbatoi. In caso di un altro terremoto o di uno tsunami, i serbatoi potrebbero essere danneggiati e grandi quantità di acqua ancora non trattata potrebbero finire nell’oceano. La procedura prevista da TEPCO prevede che il versamento sia graduale e controllato, con un rilascio al largo della costa per ridurre ulteriormente i rischi e favorire una maggiore diluizione delle acque di scarico.
Le comunità di pescatori nelle vicinanze non si sentono però rassicurate dalle affermazioni di TEPCO e del governo, così come non lo sono i paesi che hanno coste che potrebbero essere interessate dall’operazione, come Cina e Corea del Sud. I pescatori dicono che il pesce pescato nelle acque note per essere quelle in cui sono finiti gli scarichi di Fukushima potrebbe rimanere invenduto, rovinando i loro affari, e temono che alcune zone potrebbero diventare meno pescose a causa del versamento.
Negli ultimi mesi TEPCO ha organizzato alcuni test dimostrativi, facendo vivere pesci e molluschi in una vasca con normale acqua dell’oceano e altri esemplari delle medesime specie in una vasca contenente l’acqua proveniente dall’impianto nucleare e al giusto grado di diluizione. Il livello di radioattività rilevato tra pesci e molluschi è lievemente aumentato mentre si trovavano nell’acqua contaminata, ma è poi tornato a livelli normali dopo alcuni giorni trascorsi nell’acqua prelevata dall’oceano. Secondo i tecnici, ciò conferma i dati sugli effetti trascurabili del trizio sulla fauna marina.
Il governo giapponese ha previsto lo stanziamento di quasi 600 milioni di euro per aiutare l’industria del pesce nella zona di Fukushima, per il «danno di reputazione» che potrebbe derivare dal versamento. Le parole sono state calibrate con attenzione per non dare l’impressione che i fondi fossero stanziati per la preoccupazione di eventuali danni ambientali.
I livelli di radioattività e gli effetti del versamento saranno tenuti sotto controllo per decine di anni, in parallelo con le altre attività di smantellamento della centrale nucleare che si prevede dureranno per almeno 30-40 anni. Ci sono però dubbi sulle procedure scelte per le verifiche e per il coinvolgimento dell’AIEA, con richieste da parte di varie associazioni ambientaliste di ulteriori controlli da parte di istituzioni indipendenti.
A dodici anni dal grave danneggiamento della centrale nucleare rimane comunque molto lavoro da fare, con tutte le difficoltà per avvicinarsi ai reattori al loro interno ancora altamente radioattivi. A inizio anno, un robot controllato a distanza è riuscito a recuperare qualche grammo del materiale contenuto nel reattore 1, una piccolissima parte delle circa 880 tonnellate di detriti che si trovano nei tre reattori. Nei prossimi mesi saranno organizzati i primi tentativi per estrarne una parte dal reattore 2, attività che sarebbe dovuta iniziare due anni fa. Le operazioni intorno al reattore 1 non inizieranno prima del 2027, con quasi dieci anni di ritardo rispetto ai piani.
Nonostante i numerosi rinvii, il governo giapponese continua a mantenere l’obiettivo dei 30-40 anni dal terremoto per completare lo smantellamento della centrale di Fukushima. La dichiarazione è però generica e non è ancora oggi chiaro che cosa si intenda per fine delle attività.