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“Non voglio solo lavorare nella mia vita”. C’è un filrouge che lega le proteste divampate in Francia per la riforma delle pensioni a quella che è stata definita la “great resignation”, il significativo aumento delle dimissioni, che vede un numero crescente di persone lasciare il loro lavoro anche in Italia. Tuttavia in Francia la riforma Macron che ha allineato il più generoso sistema previdenziale europeo a quello degli altri stati comunitari ha scatenato un’ondata di proteste e violenze che difficilmente hanno pari in Italia. Il bilancio definitivo della notte di protesta a Parigi e in molte altre città della Francia in seguito al passaggio della legge di riforma delle pensioni è di 287 fermi, decine di cassonetti bruciati, danni a arredo urbano e danneggiamenti a biciclette e cantieri. Particolarmente spettacolare è stata “l’invasione” della Bastiglia e del Marais, attorno a mezzanotte, con i giovani che hanno acceso i fuochi sono poi fuggiti in direzione place de la Concorde.

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Sul fronte dello sciopero più temuto, quello delle raffinerie, le forze dell’ordine sono intervenute stanotte per sbloccare il terminale petrolifero di Donges, nell’ovest del paese, dopo una settimana di occupazione. Il governo ha anche annunciato, stamattina, precettazioni di personale al deposito petrolifero bloccato di Fos-sur-Mer, nel sud-est. E domani il presidente francese Emmanuel Macron interverrà personalmente sul tema della contestata riforma delle pensioni – finora gestita in prima linea dalla premier Elisabeth Borne – con un’intervista televisiva a Tf1 e France 2 in programma alle 13 dall’Eliseo. Chiamato più volte direttamente in causa, anche dai sindacati, che hanno chiesto inutilmente di essere ricevuti dal capo dello stato per discutere del progetto di riforma, Macron si è finora tirato indietro. E c’è da scommettere, la tensione non si dissiperà a breve.

riforma pensioni

In Francia, lo sciopero e la protesta sono una tradizione radicata nella cultura politica del paese che ha una lunga storia di movimenti di protesta. Senza scomodare la Rivoluzione francese, dal 1789 la Francia presenta un attivismo con pochi pari in Europa. Neppure paragonabile a quello italiano dove l’instabilità politica ha portato a una certa sfiducia nei confronti della politica tout court come mostra anche il graduale aumento del astensionismo. L’idea stessa di protestare è meno attraente vista la cadenza con cui cambiano i governi senza la necessità di manifestazioni di massa: e sarà qualcun altro a risolvere i problemi.

Altro elemento che occorre sottolineare è la capacità dei sindacati francesi di mobilitare grandi gruppi di persone per manifestazioni e scioperi: lo stesso non trova spesso riscontro in Italia dove l’associazionismo sindacale – per quanto presente – è molto più frammentato e negli ultimi anni incapace di una forza di attrazione paragonabile. Solo a titolo di esempio i tre principali sindacati confederali contano all’incirca 11 milioni di iscritti ma negli ultimi anni Cgil e Cisl hanno perso complessivamente circa un milione di tesserati.

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Se l’italiano – forse schiavo da un malcelato tafazzismo – ha marcato col disincanto il proprio allontanamento dalla res pubblica, ormai dipinta con epiteti gattopardeschi, in Francia il cittadino repubblicano ha mantenuto fede al proprio retaggio storico coltivando la protesta come uno strumento legittimo per esprimere il dissenso e per partecipare alla vita politica.

Così in Italia le piazze sono barricate per lo più contro opere pubbliche – vedi i vari movimenti Nimby “No Tav”, “No Tap”, “No Muos” ecc – mentre le manifestazioni oceaniche sono ricordi ormai sbiaditi e gli scioperi finiscono col ricadere il venerdì, con rivendicazioni che accolgono lo scibile umano. Trovando per lo più le spallucce di chi non sapendo se solidarizzare con gli scioperanti, guarda e aspetta. Il problema sta forse anche qui.

Perché in Italia non scendiamo in piazza come in Francia?