Olio: in dieci anni produzione dimezzata. Al Masaf aperto un tavolo di confronto

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Con il più alto numero di aziende, il comparto resta la cenerentola dell’agroalimentare: in 10 anni produzione dimezzata. I dati della ricerca Nomisma sono stati presentati in un convegno Confagricoltura a Roma, mentre al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare è stato aperto un confronto con la filiera oleicolo-olearia.

Olio: calo strutturale della produzione

Calo strutturale per la produzione di olio d’oliva, frammentarietà delle aziende, volatilità dei prezzi. È quanto è emerso dalla presentazione dello studio Nomisma “La filiera olivicola italiana nel mercato globale, tra nuovi trend di consumo e scenari evolutivi”, presentato a Roma, in occasione della celebrazione dell’accordo di filiera tra Confagricoltura e Carapelli Firenze (accordo siglato nel 2018 e che ha fatto incontrare parte quella agricola e industriale per un valore di 25 milioni di euro).

Secondo l’analisi, nel 2022 la produzione di olio si assesterà sulle 208mila tonnellate (stimate), rispetto alle 513mila del 2010. In dieci anni un dimezzamento che riguarda, in primis, tre regioni di peso, quali Puglia (-52% 2022 su 2021), Calabria (-42%) e Sicilia (-25%). D’altronde, in 10 anni (2011-2021) la superficie agricola investita a olivo in Italia è scesa del 3,5% contro l’aumento di vecchi e nuovi competitor: +41,6% del Cile o, rimanendo nel bacino mediterraneo, del +5,6% della Spagna. Tra gli altri punti deboli la frammentarietà delle aziende italiane: su 619mila aziende olivicole (quelle che producono vino sono “solo” 255mila), il 42% ha meno di due ettari di uliveto, il che significa che poco meno della metà delle aziende olivicole si dedica a una produzione hobbistica o destinata al solo autoconsumo. Solo il 2,5% delle imprese italiane, infatti, ha più di 50 ettari contro il 7,5% della Spagna.

Gli italiani sono i maggiori consumatori di olio

Gli italiani, tuttavia, rimangono i maggiori consumatori di olio, con otto chili di consumo pro-capite. Ma, quattro su dieci lo acquistano nella Grande distribuzione organizzata (Gdo), mentre 3 su 10 lo comprano direttamente dal produttore. Nella distribuzione moderna, in particolare, il prezzo medio è di 6,81 euro al Kg, che scende a 4,56 euro per quello comunitario. Si sale a 11,41 euro per le Dop. All’estero l’olio d’oliva Made in Italy gode di ottima reputazione, ma l’export è concentrato soprattutto in Ue e Nord America, con grosse potenzialità in Paesi come Arabia Saudita, Corea del Sud, Messico o Giappone. In particolare, nel 2022, si è registrata una crescita importante sul fronte dei valori +22%, mentre i volumi non sono andati oltre un +5,6%. Spia che i prezzi sono lievitati soprattutto a causa dell’inflazione. Resta, poi, il fatto che la Spagna ha una quota export che doppia quella italiana: 42,4% Vs 21,2% (pari a 1,5 miliardi di euro).

In questo contesto, quale sarà il futuro dell’olio? “Bisogna avviare investimenti e processi di modernizzazione, incluso un ricambio generazionale, visto che meno del 5% delle aziende è guidata da under 40” ha rilanciato il responsabile dell’Osservatorio Denis Pantini “Occorre fare filiera per contrastare la volatilità dei mercati: a oggi meno del 3% delle imprese agricole ha accordi pluriennali con imprese industriali o commerciali”. La strada davanti è ancora lunga. Tanto che è in corso anche un confronto al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare con la filiera oleicolo-olearia italiana, come ha annunciato nel corso della Tavola Rotonda il sottosegretario Patrizio La Pietra. L’obiettivo? Rilanciare un settore strategico, anche attraverso temi molto caldi, tra cui sostenibilità ed etichettatura.

a cura di Loredana Sottile

L’articolo è stato pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 16 febbraio 2023

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