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Che cosa hanno in comune l’architettura, il design e la mobilità, soprattutto quella del futuro? Se lo è chiesto l’archistar Norman Foster, classe 1935, autore di edifici e strutture in tutto il mondo, alcuni dei quali dei veri e propri simboli dello skyline urbano, ad esempio il Millennium Bridge, a Londra, ma anche il Reichstag a Berlino e il prossimo Parlamento di Amaravati, la città che non c’era e che diventerà la capitale dello stato indiano dell’Andhra Pradesh.

Lord Foster of Thames Bank Copyright © GA/Yukio Futagawa Courtesy Norman Foster Foundation.

Lo incontriamo in Spagna, Paese a lui molto caro, quello in cui ha scelto, tra l’altro, per la sede della Fondazione che porta il suo nome. A quella domanda iniziale ha risposto nella maniera che gli è più congeniale: creando. Cosa? Una mostra ad hoc per il Guggenheim Museum di Bilbao, “Motion. Autos, Art, Architecture”, un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di arte e motori messi a confronto in maniera originale e a suo modo stilosa, pensata in collaborazione con Lekha Hileman Waitoller e Manuel Cirauquie e visitabile fino al 18 settembre prossimo.

Harley Earl General Motors, Firebirds Models I, II and III, 1954-1958 General Motors © General Motors / Ph Rodney Morr.

«Ricordo quando un amico artista fece scorrere la mano sull’ala posteriore della mia Bentley R Type Continental del 1953», dice Norman Foster fissandoci negli occhi, avvolto da un completo in velluto color prugna da cui spiccano i calzini rossi. «Mentre lo fa, dice che è come accarezzare un dipinto di Constantin Brancusi o di Henry Moore», scrive nel bel catalogo che impreziosisce il tutto. «Una volta stabilita, quella connessione visiva è irresistibile». Quella che ha visto e vede lui ha messo insieme 40 tra le migliori automobili al mondo, presentate in 10 spazi del museo. Alcune sono prestiti di collezioni private o di enti che non le hanno mai cedute prima, altre sono sue e della sua fondazione. Il lato artistico e più bello di quelle autovetture, veri e propri gioielli a quattro ruote, rumore dei motori compresi, sono messi a confronto con la pittura, la scultura, l’architettura, la fotografia e il cinema, offrendo un’esplorazione delle modalità in cui esse dialogano visivamente e culturalmente. Il risultato è una piacevole scoperta per chi guarda. «L’evoluzione del design – ci spiega – così come viene inteso per soddisfare bisogni sempre nuovi, è una costante nella storia, da come si è arrivati ad affilare una pietra focaia per farne il primo strumento utilizzato dall’uomo fino all’era dei viaggi nello spazio: la mobilità e l’auto del futuro non fanno eccezione».

Edward Ruscha Standard Station, 1966 Courtesy © Ed Ruscha.

L’architettura è la mobilità, ci ricorda, sono più vicine di quanto si pensi e l’infrastruttura storica di paesi e città, concepita nell’era delle carrozze trainate da cavalli, è sopravvissuta e si è adattata a una nuova era di mobilità, riuscendo a reinterpretare un’architettura nuova e a suo modo emozionante. «Le stazioni ferroviarie del XIX secolo sono più vicine di quanto si pensi ai nostri aeroporti e agli spazioporti del futuro», fa notare. «Oltre a questo, purtroppo, ci sono anche le spianate destinate ai parcheggi che circondano i centri commerciali nelle periferie, espressione di bruttezza e povertà sociale, ma questa è un’altra storia». Quel binomio sarà necessario – parole sue – anche nel rapporti tra architetti e urbanisti, essenziali nel concepire la prossima mobilità e il design delle macchine. «Al momento, però, scontiamo ancora un divario educativo: chi dovrà pensare al retrofitting dei nostri centri abitati, al loro adeguamento usando il vecchio per generare il nuovo, non è ancora abbastanza formato su come funzionano le città. Tuttavia, quegli stessi centri sono cosa pubblica e sarà compito di un governo illuminato quello di definire degli standard ambientali elevati».

Albert Kahn Ford Motor Company Highland Park Rendering bird’s eye view in 1924, 1924 Collection Cranbrook Art Museum, Bloomfield Hills, Michigan. Gift of the Estate of John Bloom.

E a proposito di ambiente, la città di una nuova era, quella dell’energia pulita e della mobilità sostenibile, «sarà più sana, sicura, verde e molto più divertente». Vogliamo crederci anche noi. Mentre ci parla, percorriamo le dieci sale del museo, iniziando con la bellezza delle forme, esposte in compagnia delle curve di Figura distesa di Henry Moore e del movimento di 31 gennaio di Alexander Calder, tra il Maggiolino e il VW Microbus, opere di Andy Warhol, un insolito David Hockney, Indiana, pubblicità della Pirelli e altre macchine, tra cui un primo esemplare di Porsche, una splendida Tetra nera una Ferrari 250 Gran Turismo, realizzata da Bizzarrini in 36 esemplari. Nessuno poteva acquistarla senza aver avuto il permesso di Enzo Ferrari in persona. Particolare il pulmino verde Dimaxion che anticipa il futuro che è al centro della parte finale della mostra, quella in cui una generazione di studenti è stata invitata a immaginare la mobilità alla fine di questo secolo, momento che coincide con il bicentenario della nascita dell’automobile. «Il futuro – garantisce l’architetto – appartiene a loro».