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Questo viaggio ripercorre il percorso artistico e umano di Ghirri, nelle peculiarità della sua arte e nella straordinaria capacità di cogliere la bellezza del quotidiano a partire dai luoghi a lui più noti, la periferia emiliana. Rivoluzionario nel suo approccio all’obiettivo, ha infuso sensibilità nuova e ottimismo in un’era in cui le brutture del mondo sembravano avere il sopravvento. Grazie alle interviste a esperti e colleghi, emerge un affresco inedito del mondo visto con gli occhi del fotografo. 

AD ha raggiunto il filmmaker e le due figlie dell’artista, Ilaria (insegnante di scuola primaria, 52 anni, nata dal matrimonio del padre con Anna Maselli) e Alice (curatrice dell’archivio di famiglia, 31 anni, figlia della seconda moglie Paola Borgonzoni) per approfondire la genesi del progetto e la memoria di un fotografo fuori dal comune. 

©eredi Luigi Ghirri 

Eredi di Luigi Ghirri

«La sua poetica è universale» 

«Ho sempre avuto una passione per la fotografia e, da adolescente, ho iniziato a seguire il lavoro di Luigi Ghirri», spiega Matteo Parisini, il regista, classe 1980. «Oggi quella passione è diventata ricerca e mi ha portato a rileggere i suoi scritti e a ripercorrere in questo progetto il suo percorso umano e artistico. Ho impiegato due anni da quando ho iniziato a raccogliere le interviste preliminari. Basti pensare che gli archivi degli eredi comprendono oltre 180 mila scatti, tra cui tante fotografie inedite di grande valore». Il filmmaker resta profondamente affascinato dal lavoro di Ghirri, che è riuscito a fare qualcosa di straordinario in un’epoca in cui la fotografia non era ancora considerata un’arte. «La sua poetica ha una grande particolarità: anche se a volte le immagini sono scattate vicino a casa e si partiva dalla provincia erano un modo di raccontare altro, così ognuno ci si ritrova, pur non avendo mai frequentato quei luoghi». Ciò che emerge in maniera prepotente, secondo Parisini, è il senso della memoria di Luigi Ghirri. «Possono sembrare foto semplici e basiche ma restituiscono una grande profondità. Il suo percorso non vuole cogliere l’istante, ma va oltre, è studiato». Prima del suo arrivo sulla scena artistica italiana, i fotografi si concentravano sul centro e i monumenti principali, mentre Ghirri ha insegnato a spostare lo sguardo. «È un precursore di una nuova corrente perché si è accorto dell’inquinamento visivo. S’intravedeva, insomma, che saremmo stati sommersi anzi bombardati da immagini mentre lui mostrava un ritorno alle origini, ad uno sguardo puro». Uno sguardo che si riflette nel documentario stesso, dove Ghirri ha la possibilità di raccontarsi in prima persona attraverso la voce di Stefano Accorsi, che «è sempre stato un suo ammiratore e in passato ha già incontrato le sue figlie. A lui è subito piaciuta l’idea di rendere l’esperienza personale, dopo aver letto e amato i suoi scritti. E così porta alla luce le riflessioni di Ghirri, lavorando per sottrazione».