Tre sedi espositive milanesi per la Divina Commedia vista – o, meglio, illustrata – da una coppia creativa d’eccezione: i coniugi francesi Anne e Patrick Poirier. Dopo gli omaggi al Sommo Poeta che nel 2021 ne hanno festeggiato i 700 anni della nascita, ecco, in Italia, un nuovo tributo tutto declinato in chiave contemporanea. Se molteplici, anzi innumerevoli, sono stati in ogni epoca gli illustratori dell’ultraterreno viaggio dantesco nell’aldilà, non tutti ne hanno tradotto in pittura (e non solo) le espressioni forse più umane e universali.
È ciò che hanno tentato di fare i coniugi Poirier, spinti da un movente ben diverso da quello celebrativo. Lo rivelano le opere esposte a Milano alla Casa degli Artisti (fino al 15 febbraio); alla Galleria Fumagalli (fino al 16 aprile); presso la sede Antonini Milano di Palazzo Borromeo (fino al 31 marzo), istituzioni che (con il patrocinio di Institut Français Milano) ospitano ciascuna una cantica della Divina Commedia (in ordine di apparizione, quindi, Inferno, Purgatorio e Paradiso), cui si accompagna la scelta di un preciso medium espressivo e di un misurato registro stilistico. Li abbiamo intervistati, e ci hanno dato anche un’anticipazione sul progetto tra arte e architettura che stanno realizzando a Rennes, in Francia (sarà ultimato nel 2025).
Una casa in Provenza, la nascita del progetto
Tutto il lavoro è iniziato durante il primo anno della pandemia, quando il Covid-19 ha messo in ginocchio il mondo. “Durante i mesi di lockdown trascorsi nella loro casa immersa nella campagna provenzale i due artisti, che lavorano a quattro mani da oltre cinquant’anni, hanno deciso di rileggere una delle più importanti opere della letteratura occidentale”, spiegano Angela Madesani e Lorand Hegyi, curatori del progetto.
Hanno infatti pensato che, per la prima volta, l’umanità avesse ricevuto un chiaro messaggio sulla sua fine”. Risultato: un lavoro che riesce a condensare i diversi linguaggi espressivi che la coppia ha utilizzato nel corso degli anni. A ogni Cantica la sua “cifra”, l’eclettismo dei Poirier.
Il progetto sulla Divina Commedia nasce durante la pandemia. Come avete affrontato il lockdown?
Patrick Poirier: «Per noi il lockdown è stato un momento incredibile. Fortunatamente viviamo in campagna, quindi non avevamo nessuno attorno. Sì, insomma, all’improvviso sono spariti i rumori dei trattori, delle automobili, degli aerei… intanto la natura era bellissima e dolce, una primavera che non avevamo mai visto prima.
In Francia il lockdown è scattato intorno al 20 marzo 2020 e ci siamo ritrovati tutto a un tratto senza impegni, senza telefonate, senza appuntamenti. Avevamo nel frattempo concluso tutti gli altri lavori e i vari progetti espositivi. In studio avevamo questo volume della Divina Commedia e un rotolo di carta giapponese lungo 80 metri. Così abbiamo deciso di realizzare un grande bande dessinee. Lo studio era pieno zeppo di oggetti, ma avevamo questo grande tavolo al centro che ci aiutato molto, permettendoci di lavorare ai disegni di Enfer e Purgatoire».
Anne Poirier: «Da molto tempo avevamo l’idea di lavorare sui testi essenziali della cultura, tra cui Dante e Shakespeare e molti altri ancora. Questa è stata l’occasione ideale per dare il via al progetto: eravamo totalmente liberi di fare ciò che volevamo e l’Inferno ci è sembrato la cantica più adatta da cui partire, considerando il particolare momento storico che tutti stavamo vivendo».
Perché avete scelto di interpretare – e, in qualche modo di attualizzare – un testo che rappresenta un caposaldo imprescindibile della letteratura italiana?
AP: «Siamo entrambi molto legati alla cultura italiana e, più in generale, alla cultura mediterranea. Io stessa sono originaria della Provenza. Inoltre abbiamo vissuto a lungo in Italia e quindi abbiamo studiato Dante, Virgilio, i testi della cultura classica, che ha parecchio a che spartire con quella francese. Per noi non era una cosa eccezionale. Ci siamo interessati al testo di Dante perché il poeta vi racconta, in un contesto immaginario, la storia del presente, del suo tempo. In modo analogo, in Enfer, proviamo a raccontare i problemi della società contemporanea, questo nostro presente difficile e contraddittorio, con le sue guerre, le rovine, la pandemia… Osservando bene i dettagli della bande dessinee si scopriranno tanti dettagli che rimandano non solo all’Inferno di Dante ma anche alle problematiche attuali».
PP: «Per noi è stato molto importante comprendere il titolo “Divina Commedia” e provare a costruire, in un momento eccezionale della nostra vita, una metafora di ciò che stavamo vivendo. Ci arrivavano notizie diverse dall’Italia, dalla Germania, dalla Francia. Gente che spariva, amici che morivano. Era un momento impressionante, e noi volevamo trasmetterlo, pur senza sapere se un giorno questa sarebbe diventata soltanto un’altra “banale” malattia».
Avete interpretato, o meglio reinterpretato, anche il genere bande dessinee e con questo progetto. Perché?
AP: «Abbiamo sempre desiderato lavorare a una bande dessinee. A me piaceva crearle sin da quando ero bambina! Inizialmente Patrick mi ha spinto a lavorarci, perché noi insieme non ne avevamo mai realizzate. Poi quando ci siamo ritrovati con questo rotolo di carta giapponese abbiamo pensato che fosse il momento giusto per approfittarne. Va specificato, però, che l’opera non è una vera propria bande dessinee e non rispetta la struttura tradizionale: le parole non sono esplicative della storia, e le immagini non sono illustrazioni del testo. È piuttosto una passeggiata attraverso un paesaggio disegnato in un unico blocco».
PP: «È molto vicina ai nostri paesaggi con le rondini, lunghi diversi metri, che le persone contemplano passeggiando. Ogni immagine, ogni testo, ogni dettaglio richiede un passaggio lento».
Tra gli illustratori che nel tempo si sono confrontati con il capolavoro di Dante Alighieri ce n’è qualcuno che vi ha particolarmente ispirato?
AP: «Senz’altro Botticelli, il più famoso. Ma anche Gustave Doré, Johann Heinrich Fussli, William Blake e molti altri autori che hanno affrontato la sfida della Divina Commedia».
PP: «Molti particolari non hanno nulla a che vedere con questi grandi maestri, ma ne rievocano lo stile oppure richiamano piccoli dettagli che abbiamo incontrato nei libri. Il nostro lavoro assomiglia a quello dell’archeologo che esplora la propria biblioteca per cercare informazioni su questa o quella civiltà. A volte si sceglie un libro che non ha niente a che vedere con la ricerca, ma vi si trova un particolare che subito evoca alla mente qualcos’altro. Così abbiamo “scavato” nella nostra memoria pittorica come pure nella nostra storia iconografica, tutto all’interno della biblioteca che ci circondava, e dove, in quel momento, eravamo “rinchiusi”».
Che interpretazione avete dato al Paradiso? C’è una cantica alla quale vi sentite più affezionati?
PP: «Non abbiamo voluto affrontare il paradiso nello stesso modo in cui avevamo affrontato l’Inferno e il Purgatorio. Ci siamo allontanati molto dalle interpretazioni di Gustave Doré e Botticelli; certo bellissime, ma in alcuni casi un po’ leggere. Inoltre abbiamo iniziato a lavorare al paradiso in un momento diverso della pandemia: i vaccini erano già arrivati, c’erano più speranze si poteva ricominciare a uscire e camminare. Abbiamo iniziato a riprendere il materiale che rimanda alla luce, al cielo, elementi più astratti».
AP: «Ci siamo divertiti molto nel realizzare queste opere, e abbiamo usato anche materiali che rimandano a nostre opere precedenti. È impossibile dire se uno ci sia piaciuto più degli altri, sono stati tre momenti molto diversi tra loro».
A quali progetti state lavorando attualmente?
PP: «Stiamo lavorando a un progetto per le vetrate di una cappella nella cattedrale di Rennes, celebre perché vi furono incoronati tutti i re di Francia. Accanto alla cattedrale sorge un museo, è nel museo si trova una cappella piuttosto ampia, quasi una piccola chiesa autonoma. Ci hanno chiesto di presentare un progetto per le 15 vetrate, che sono andate distrutte nel corso dei bombardamenti delle Guerre mondiali».
AP: «Il progetto riprende la tecnica cinquecentesca del “grisaille”, per riprendere quell’effetto pittorico abbandonato agli inizi del secolo scorso. Vogliamo dare volume alle immagini. Ci siamo ispirati all’idea di morbidi tendaggi che cadono davanti alle finestre, molto diffusi nel Medioevo, tanto che nella cattedrale di Rennes ve ne sono alcuni scolpiti nella pietra. Abbiamo ripreso questo motivo e consegnato il progetto: le nostre opere saranno pronte attorno al 2025».
Vi appassiona il lavoro degli artisti delle giovani generazioni?
AP: «In generale, amiamo molto l’approccio con tutti i giovani artisti. Abbiamo insegnato e siamo sempre stati vicini alle nuove generazioni. Ci piace molto certo incontrare i giovani artisti e vedere quello che fanno, appena possiamo è ovunque siamo!»
PP: «Siamo sempre curiosi nei confronti delle novità. Ci aiuta molto anche nel nostro lavoro, perché senza questa scossa di energia il rischio è di addormentarsi su ciò che si è già soliti fare. Vedere qualcosa che ci interessa realizzato da un giovane artista è una spinta motivazionale in più anche per noi!»