Il ritorno di Heros (De Agostinis): da Roma a Roma passando per il mondo. E Anantara diventa il nuovo palcoscenico della fusion roman style
Heros De Agostinis nella sua Roma
Heros torna a casa, nella sua Roma. Una capitale che per lui, figlio di padre abruzzese e di madre eritrea, nonni abruzzesi e nonni eritrei, è sempre stata una grande fusion. Anche perché vivendo tra il rione Monti e l’Esquilino, la fusion è davvero quotidiana. Quando si dice che il destino alla fine si aggiusta sempre. Sarà stato il fato, sarà stata la necessità o la voglia di rientrare in città, sta di fatto che Heros De Agostinis ora è l’executive chef di un hotel parte di un luxury group thailandese (l’Anantara) che a Roma ha rilevato l’ex Exedra, sotto i portici di piazza della Repubblica, alias piazza Esedra: una struttura monumentale restaurata con rigore filologico nel suo stile Impero – mixa elementi classici con un canone orientale Classico anch’esso – e che si apre alla città come una sorta di basilica cosmopolita, controcanto alle dirimpettaie Terme di Diocleziano. Riprendendo in realtà un concetto di fusion che – anche se meno consapevolmente – era già uno degli elementi centrali della cultura imperiali dell’Antica Roma.
La fusion di Heros De Agostinis è la sua storia
Tutto questo per dire che all’apice della sua carriera – passando anche da avventure non sempre fortunate e con tempi più lunghi rispetto ad altri suoi colleghi non certo più talentuosi di lui – Heros De Agostinis riesce a cucinare esattamente quello che si è divertito a pensare, a immaginare e a volte a fantasticare – ma in alcune situazioni anche in parte a praticare – durante i circa 30 anni di esperienze ai fornelli. Trent’anni vissuti sempre al top: a partire dalla cucina di Heinz Beck, suo mentore ma anche suo datore di lavoro per i tanti anni in cui Heros ha fatto lo sviluppo dei piatti e dei menu per la Pergola, passando per gli staff di Winkler in Germania e di Veyrat in Francia e poi dedicandosi a progetti e aperture da Londra al lontano e al Medio Oriente e facendo importanti tappe sia in riva al mare, in Maremma, che nella montagna gourmet dall’Alto Adige a St. Moritz.
Heros ha incamerato la passione per la tecnica e l’attenzione maniacale per le cotture; ha interiorizzato alcune delle più interessanti cucine del mondo, da quella thailandese – conosciuta da vicino in Bahrein come executive in un grandissimo albergo con decine di ristoranti tra cui un importante tavola thai – a quella messicana e peruviana, tra il trendy tex-mex e l’arte del cevice. Tutto questo, però, senza mai tradire il primo amore, quella cucina di famiglia, romana e abruzzese, che oggi può presentare nella maniera a lui più congeniale: aperta, fresca, divertita e divertente, in sintonia con il respiro del mondo e in simbiosi con lo spirito del luogo in cui oggi lavora.
Basta entrare nel “suo” Ineo – il nome del ristorante che rende omaggio al nuovo inizio – per capire quanto gioca bene la Roma classica con la parete di origami in ceramica che accolgono nello spazio-champagneria chi voglia bere un calice e gustare un raffinato finger prima di sedersi ai tavoli o anche prima di immergersi di nuovo nella notte romana.
La fusion di Heros: Roma è il pollo
La cucina di Heros, in ogni caso, non è fatta di voli pindarici: basta parole per descriverla, quindi, e immergiamoci nei suoi piatti: ce li ha presentati e serviti Damiano Verdone – maître di sala – approdato ad Anantara dopo otto anni nella sala di All’Oro con Riccardo Di Giacinto e coadiuvato ora da Mirco Bove – e li ha abbinati ai vini il sommelier Federico Spagnolo che proviene da anni di lavoro al fianco di Heinz Beck e dopo la felice esperienza sarda, sempre nel ristorante estivo firmato dal cuoco bavarese-romano.
Le danze le apre un ricordo di infanzia: il pollo che la nonna andava ad acquistare al mercato di Piazza Vittorio e che la domenica profumava l’aria della giornata di festa. Un pollo che è però protagonista anche negli angoli di mondo vissuti da Heros nella sua vita errante. Sono piccoli assaggi, scintille di gusto: la “stracciatella” in cui vengono tuffati tre piccoli gnocchetti fritti di ricordo orientale; la Caesar Salad con il suo respiro vegetale fresco e lungo; il ristretto di pollo con la brunoise di verdure, ricordo di una Europa continentale e profonda e poi il pollo alla cacciatora, fresco e dal profumo dell’orto: in una sorta di bon-bon, però, non c’è il pollo, bensì il suo spirito, l’intingolo, la memoria indelebile di un piatto che è Roma, che è casa. E per chiudere, il gioco di quando da ragazzini ci si litigavano gli zampetti di pollo che davano sapore al sugo di rigaglie pronto per irrorare le fettucine stese sulla spianatora: chips di pelle di pollo, croccante e delicata eppure netta. Il tutto in un gioco di diversi spunti di croccantezza e di morbidezza nelle varie preparazioni. Insomma, un bell’inizio.
Due classici di Heros: fegato grasso e cevice
Un classico della cucina di memoria francese e un classico della nuova vita di Heros (che poi è un classico della cucina andina): il fegato grasso, un assaggio appena ma spinto da frutti di bosco e lamponi e da una piccola cialda di frutta secca. Un piccolo capolavoro, quasi a far da intermezzo e a ribadire una formazione comunque classica (eseguita alla perfezione): una dimensione che perdona un ingrediente ormai poco politacally correct.
E poi, a seguire, il Gambero crudo di Mazara in cevice: gusto di mare e freschezza allo stato puro. La marinatura non è “cottura” ma aroma: la preparazione è accompagnata da una acidità rotonda e molto equilibrata che apporta freschezza e prelude a una piccantezza marcata ma non eccessiva. Un piccolo piatto che parla di gusto, di godimento dei sensi: dal palato alla vista, perché è bellissimo il gioco cromatico a sottolineare quello organolettico.
Fusion e classicità in un risotto
Ecco un’altra passione di Heros De Agostinis, anzi due passioni: il riso (e il risotto) e il curry. Qui lo chef gioca con un piatto che aveva già stupito i suoi ospiti quando cucinava all’Hotel Terme di Merano: allora era una “passeggiata tirolese” con il risotto che diventava – con speck, finocchietto e cetriolini – una citazione della famosa merenda montanara. Oggi invece è un gioco con la storia della sua vita, la fusione tra la passione per il curry verde e il lime thai scoperti in Bahrein, quella per la succulenza e la sapidità iodata degli scampi e anche quella per il risotto “italiano”, preparazione che solo noi abbiamo (noi che siamo diventati i maggiori produttori di riso in Occidente) e che qui cerca di essere una mediazione cultural-culinaria di alto livello. Risultato: grande freschezza e pulizia, armonia e carattere, golosità e profondità
Coda alla vaccinara e saltimbocca: esercizi di romanità
Nella giostra dei piatti, ecco che arriviamo alla romanità, quella verace, giocata però sul filo dell’equilibrio e dello straniamento. Un dire e non dire, svelare e nascondere che crea curiosità e voglia di andare avanti. Così il must della coda alla vaccinara arriva in due quadri: uno velato e uno svelato; il primo con il sugo – l’intingolo, ancora, che torna e sottolinea una visione della cucina italiana di fondo simile tra Heros De Agostinis e Niko Romito, il quale anche ritiene centrale il protagonismo dell’intingolo – all’interno dei fagottini che fanno da preludio al piatto accanto, un taco di coda (questa volta la carne sfilacciata – pulled!?) realizzato però con la stessa pasta dal raviolino e servito su una base di mais nero. Una sintesi davvero della cultura culinaria mondiale, in sintonia con i tempi della globalizzazione e con l’annullamento sempre più attuale di tempi e spazi.
Dopo arriva il “saltimbocca”, ovvero un prezioso Black Code dell’Alaska bardato di Prosciutto di Bassiano (una delle eccellenze della campagna romana) su una salsa di Vin Jaune: anche qui quanta storia e quanta cultura culinaria, quante tradizioni! Una idea di saltimbocca (classico della cucina famigliare capitolina) e la sapidità ritrovata del “finto baccalà” che qui è un merluzzo fresco di grande pregio spinto dalla sapidità di una eccellenza laziale. Torna la fusion, ma una fusion di cuore e di testa, non alla ricerca – assolutamente no – di effetti speciali né di applausi, ma solo tesa a conquistare (questo sì) il palato degli ospiti. Un piatto in cui il “virtuosismo” del saucier viene espresso dalla splendida salsa di accompagno al francese Vin Jaune che allo stesso tempo richiama la consistenza del sughetto del saltimbocca in cui le nonne (e gli osti) usavano la farina per dare spessore.
La dolcezza è una passeggiata al Ghetto
Siamo alla fine di una cena lunga, ma brillante e divertente. Abbiamo provato piatti “estremi”, quelli che più raccontano la nuova cucina di Heros, tralasciando le altre sue interpretazioni del quinto quarto, come le animelle, o dei primi più mediterranei. La chiusura è tutta giocata tra la cultura popolare del Ghetto – con una interpretazione giocosa della crostata di ricotta e visciole: la farcia è racchiusa in un sigaro di cioccolato e adagiato in un posacenere con la “cenere” di polvere di nocciole dei Cimini – e classicità con il soufflé ai frutti di bosco e al rabarbaro che si presenta in versione calda con accanto il suo alter-ego freddo in forma di gelato e gelatina di rabarbaro. Chiusura in freschezza e sempre all’insegna della fusion: un intreccio di storie e culture, di sapori diversi conosciuti in giro per il mondo, quel mondo che oggi è davvero tutto il nostro mondo e in cui le frontiere le vede (e le vuole) solamente chi ha paura di aprirsi all’altro.
Ineo – Anantara Palazzo Naiadi Rome Hotel – Roma – piazza della Repubblica, 48 – anantara.com
a cura di Stefano Polacchi