Cosa cambia in pesca e ricerca con il Trattato dell’Alto mare
Entro il 2030 il 30% di mari e oceani dovrebbe essere dichiarato zona protetta. Greenpeace: «Un giorno storico»
NEW YORK – Dopo più di dieci anni è stato raggiunto un accordo. Il documento finalizzato ieri dagli Stati membri delle Nazioni Unite relativo al controllo e alla tutela dell’Alto mare certifica che è necessario proteggere il 30% delle acque internazionali, dal punto di vista biologico ed ecologico, entro il 2030. Ma che cosa vuol dire? E quali sono le condizioni?
Solo l’1,2% protetto – Per Alto mare si intendono le acque internazionali, ossia tutta quella porzione di mari e di oceani non incluse nelle Zone economiche esclusive, all’interno delle quali singoli o gruppi di Paesi – Stati Uniti, Giappone, Unione Europea e Cina hanno stipulato 300 accordi per pescare anche in zone (povere) in cui di norma non potrebbero – possono esercitare le loro attività economiche.
L’Alto mare corrisponde ai due terzi della superficie marina terrestre totale. Lo sfruttamento di questa enorme porzione è “regolamentato” dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982, in cui la zona viene definita, in sostanza, «patrimonio comune dell’umanità», motivo per cui tutti possono potenzialmente accedervi. Il problema: la biodiversità non è propriamente tutelata e sulle attività di mining la legislazione è molto oscura. In sostanza, solo l’1,2,% dell’Alto mare è al momento protetto.
A rischio estinzione – Ciò che ne consegue è un dato all’armante. Secondo le stime tra il 10 e il 15% delle specie marine è già a rischio estinzione. Un dato, questo, molto limitato in quanto non è chiaro quante specie effettivamente vivano nei mari e negli oceani. Robert Blasiak, ricercatore presso l’Università di Stoccolma, ha dichiarato alla Bbc che per ora ne sono state individuate 230mila, ma potrebbero anche essere due milioni.
Entra così in gioco il Trattato sull’Alto mare che, di fatto, pone le basi giuridiche necessarie per tutelare entro il 2030, tra le altre cose, il 30% dei mari. All’accordo aderiscono 50 Stati, che già due anni fa si erano detti pronti ad agire in tal senso.
Altro punto saliente del Trattato riguarda l’autorizzazione delle attività commerciali in Alto mare, come l’estrazione di minerali e risorse in acque profonde. Queste ultime includono anche le risorse genetiche marine che potrebbero rivelarsi necessarie per formulare vaccini e farmaci di varia natura e cosmetici.
«Un giorno storico» – Un’attivista per la protezione degli Oceani di Greenpeace, Laura Meller, ha elogiato la decisione a cui le Nazioni Unite sono arrivate dopo 38 ore di discussioni. «È stato consegnato un Trattato che ci consentirà di proteggere gli oceani, costruire la nostra resilienza ai cambiamenti climatici e salvaguardare le vite e i mezzi di sussistenza di miliardi di persone».
«Questo è un giorno storico per la conservazione e un segno che in un mondo pieno di divisioni, la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica».
Tuttavia l’accordo non è ancora stato formalmente adottato. Gli Stati membri dovranno nuovamente incontrarsi per ufficializzare quanto stabilito. Dopodiché, prima che il Trattato entri propriamente in vigore, ci vorrà ancora molto tempo e saranno da compiere diversi passi. Una volta ratificato, sarà necessario istituire un comitato tecnico e scientifico e altri organismi istituzionali.
Ognuno dovrà condurre i propri studi, discutere i risultati e presentarli ai vari Paesi. Sette anni basteranno?