Sono tante le cose straordinarie di questo pied-à-terre parigino: un tavolo da cocktail di Jean Royère, un paio di poltrone Pommeaux de Canne in bronzo di Diego Giacometti, luci di Paavo Tynell e Max Ingrand, un tavolo da pranzo di Carlo Scarpa e opere mirabolanti di artisti del calibro di Andy Warhol, John Baldessari e Max Ernst, tra cui una scultura in ferro e legno di quest’ultimo, dal titolo sibillino: “A Microbe Seen Through a Temperament”.
Ma se c’è una cosa che Luis Laplace, l’interior designer del progetto, ama più di ogni altra, è la collezione di libri del suo cliente, un investitore americano.
Che il padrone di casa abbia una passione per l’arte non sorprende, lo sono quasi tutti i clienti di Laplace. Il designer (negli AD100) dirige il suo studio sulla Rive Gauche con il compagno, Christophe Comoy, e dal 2013 ha realizzato innumerevoli progetti per nomi di prestigio del mondo dell’arte, come i mercanti Iwan e Manuela Wirth e la fotografa Cindy Sherman, per citarne alcuni. Non aspettatevi, però, che vi dia consigli pratici su come esporre l’arte in un interno. «Non è un processo razionale», sottolinea. «Mi sono lasciato guidare dall’intuito».
Il pied-à-terre, 589 metri quadri, si sviluppa su due piani di un tipico edificio haussmanniano, e occupa quelli che in origine erano due appartamenti separati. Per fortuna, entrambi sono stati messi sul mercato nello stesso periodo, con l’ulteriore vantaggio di affacciarsi direttamente su uno dei parchi più belli di Parigi e di trovarsi in un luogo con un particolare valore sentimentale per il proprietario, cresciuto a pochi portoni di distanza. «Una coincidenza fortunata», dice. «Per me è una delle strade più magiche di Parigi».
Lo stato in cui versavano i due appartamenti era un po’ meno incantevole. Laplace ha creato una scala per collegarli, ma in gran parte li ha demoliti. Era impaziente di rimuovere le modanature decorate. «Non sarebbero state bene con l’arte», dice. Il cliente desiderava qualcosa di tipicamente francese, sulla linea sottile tra uno stile senza tempo ma anche contemporaneo, e in toni chiari. «Parigi può essere molto grigia», osserva. Lo stile di Laplace è «coinvolgente, ma non appariscente», afferma il proprietario della casa. Il designer dice che il suo fine non è mai quello di impressionare. Invece, preferisce radicare i suoi spazi nel passato e infonderli di un’eleganza più sobria e disinvolta.
Qui ha rivestito vari ambienti di pannelli di quercia sbiancata, strizzando l’occhio al maestro dell’Art Déco Jean-Michel Frank. Ha anche inserito semplici cornici che richiamano lo stile degli anni ’40 e porte contornate di un suggestivo marmo verde. Il suo cliente è un collezionista appassionato, non solo di arte ma anche di mobili. «Compro quasi continuamente», spiega. «Quindi avevamo un piccolo tesoro con cui lavorare». Tra i tanti oggetti inseriti da Laplace ci sono vari arredi scovati nei mercati delle pulci di Parigi, come un grazioso tavolo di legno non firmato con gambe a forma di birilli. E le opere non sono solo di grandi nomi. L’artista a cui si riferisce è l’italiano Salvatore Emblema, che lavorava per lo più su tele di iuta e la cui palette colori era influenzata da Mark Rothko.
Altrettanto sorprendente è l’illuminazione. Sopra il tavolo da pranzo ci sono due sospensioni in vetro e ottone, le cui forme sono state ispirate da un lampione del XIX secolo in Place Saint-Georges, dove Laplace ha casa e ufficio. Le ha disegnate durante il primo lockdown nel 2020 e le definisce ironicamente «le lampade COVID». La lampada di Paavo Tynell nel living principale, invece, sembra quasi sottodimensionata, ma è intenzionale. «Penso che le case dovrebbero essere illuminate in modo quasi irrazionale», osserva Laplace. «Non mi piace l’eccessiva omogeneità».
In questo momento sul tavolo da disegno del creativo ci sono innumerevoli altri progetti, tra cui residenze a New York, la nuova galleria Hauser & Wirth a Parigi e un piccolo hotel a Capri. E ce n’è un altro, più vicino a casa, che lo entusiasma in modo particolare: un appartamento in Rue de Bellechasse nel VII arrondissement di Parigi, dove la vedova dello scrittore francese Alphonse Daudet teneva un salotto letterario frequentato da Marcel Proust. «Fu lì che Proust fece pressioni per vincere il Prix Goncourt (il più importante premio letterario francese, ndr) subito dopo la prima guerra mondiale», racconta Comoy. E ancora una volta si parla di libri.