Fondation Cartier presenta la prima personale dell’artista aborigena.
Ancora una volta la Triennale di Milano offre un’occasione veramente unica per un meraviglioso viaggio artistico.
Grazie alla Fondation Cartier pour l’art contemporain è infatti visitabile fino al 14 maggio la prima mostra personale, al di fuori dell’Australia, dell’artista aborigena australiana Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori. Un progetto unico nel suo genere che si impernia sulla carriera di questa straordinaria artista e ne sottolinea l’importanza culturale per la conoscenza della comunità Kaiadilt.
Immaginate di essere trasportati dall’altra parte dell’emisfero, in un mondo “altro, per natura, lingua cultura. In questo mondo non importa il “quando” ma il dove si nasce, non importa il singolo, ma la comunità a cui si appartiene; in questo mondo il nome che portiamo racconta del luogo di nascita, dell’animale totemico che ci accompagnerà nella vita terrena. Questo microcosmo si chiama isola di Bentinck, una piccola isola di 240kmq nel golfo di Carpentaria a largo della costa nord dell’Australia. E’ qui che viveva il popolo Kaiadilt ed è qui che nasce, probabilmente intorno all’anno 1924, Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori.
I Kaiadilt erano una comunità di 125 persone nel 1944, anno in cui vengono a contatto la civiltà occidentale, la cui vita era scandita dalle attività della caccia, della pesca e della raccolta dei frutti spontanei della natura; lontani linguisticamente, culturalmente e antropologicamente da ogni altra popolazione dei territori al di là del mare, i Kaiadilt vengono costretti ad emigrare verso l’isola di Mornington a nord ovest, nel 1948 a causa di una potente calamità naturale.
Un viaggio breve in termini di distanza ma sconfinato in termini culturali. La piccola popolazione viene a contatto per la prima volta con i missionari occidentali che impongono loro lingua, abitudini, cultura. Un soggiorno destinato a durare fino al 2004 anno nel quale l’isola di Bentinck viene finalmente riconosciuta come terra di origine del popolo Kaiadilt. Ma la straordinarietà dell’opera di Sally Gabori non risiede solo nell’eccezionale lirismo della storia del suo popolo, ma anche nella sua stupefacente storia artistica personale. Nel 2005 quando Sally ha circa 80 anni comincia a frequentare un laboratorio artistico nella casa di riposo nella quale è ormai ricoverata. Dal momento in cui prende in mano i pennelli per la prima volta all’anno della sua morte, Sally produce più di 2000 tele trasfondendo in esse tutta l’energia, la luce, la terribile bellezza della sua terra lontana. Sin dal 2006 le opere di Sally vengono esposte in importanti istituzioni culturali e nel 2012 vincono importanti riconoscimenti.
Nel 2013 le opere di Sally Gabori sono a Palazzo Bembo nell’ambito della 55^ Biennale d’Arte di Venezia. Sally Gabori muore nel 2015 dopo aver completato un’opera per l’aeroporto Internazionale di Brisbane.
Nella sua breve, ma intensa, stagione artistica Sally si è fatta promotrice dell’arte nella sua comunità e molte donne Kaiadilt ne hanno seguito le tracce. Alcune delle tele in mostra sono opere collaborative realizzate da Sally e alcune delle donne della sua famiglia. Sono le tele più colorate, più dettagliate, che raccontano l’isola Sweers, nelle quali la potenza della visione del lavoro a sette mani esprime al suo massimo l’attaccamento per la terra ancestrale.
In un’espressione artistica assolutamente primordiale, pulita da contaminazioni e influenze Sally descrive con i suoi colori accesi, con la matericità delle sue tele, la storia, la cultura,il dolore e la nostalgia del suo mondo perduto. Sei i luoghi principali della sua terra raccontati più e più volte nelle tele dell’artista, di questi ben 4 sono rappresentati nel percorso espositivo che, grazie a prestiti eccezionali provenienti da importanti istituzioni museali australiane, raccoglie ben 30 tele di ragguardevoli dimensioni. Ed ecco che la sezione dedicata a Nyiniliki, ci racconta della laguna d’acqua dolce, il billabong australiano, e delle particolari nasse composte da muri in pietra che le donne Kaiadilt usavano per pescare.
Quella dedicata a Thundi è invece una continua evocazione del luogo di nascita del padre dell’artista, e dei particolarissimi fenomeni atmosferici che lo caratterizzano, le cosiddette Morning Glories.
Dibirdibi ha come tema centrale la cosmologia Kaiadilt, la nascita dell’isola Bentink dovuta all’innalzamento dei mari.
Non vincolata da una tradizione pittorica o da un lessico di segni preesistente, Sally Gabori ha creato un linguaggio libero per esprimere la sua necessità di perpetrare una tradizione antica, rigettata dal mondo moderno ma che a lungo aveva resistito nel suo cuore. Un linguaggio che le ha permesso di vivere psichicamente nella “terra” da cui era stata separata, creando qualcosa di grandioso, imponente e profondamente originale.