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Simon Watson presenta il libro Portrait of a House pubblicato da Dürer Editions

Era il suono dei grandi appuntamenti, un suo­ no misterioso, che il battente aveva trasmesso al silenzio della casa e che la casa aveva restitui­ to all’esterno, facendolo riecheggiare in una del­ le più belle e antiche strade di Dublino. Quando Simon Watson si è presentato davanti al numero 12 di Henrietta Street, e quando la porta si è aper­ta, qualcosa nella sua storia di grande fotografo, e forse anche di irlandese, è cambiata. Del resto se dopo venticinque anni di vita e lavoro a New York, Simon era tornato nella sua isola, una ra­gione doveva esserci. E la ragione era al di là del­ la facciata in mattoni rossi di quella splendida re­sidenza. I fantasmi aspettavano tranquilli e final­ mente non invano.

La stanza della musica della casa al 12 di Henrietta Street, con pavimenti del 1737 e una specchiera dell’Ottocento sul camino.Simon Watson

A spingere Watson fino lì era stata la richie­ sta di un cliente americano in cerca di una dimo­ra “decadente e malinconica. Simon allora si era ricordato dell’atmosfera di una strana casa che aveva visitato alla metà degli anni ’90, ospi­te di una festa, e ne aveva ritrovato il proprieta­rio, Ian Lumley, architetto conservatore. Quando in una calda giornata d’estate, in una capitale praticamente deserta, Simon varca la soglia del 12 di Henrietta Street, tutto è ancora lì. Due se­coli e mezzo di ricordi, di presenze, di passaggi si sono depositati sui muri. Muri come pelle sen­ sibilissima. Muri che hanno assorbito il respiro dell’ombra. Muri che Simon Watson ha voluto raccontare con estrema delicatezza, tornando per molti anni allo stesso indirizzo, come testimonia oggi il libro Portrait of a House.

Una copia di una statua di Antinoo, amante dell’imperatore Adriano.Simon Watson

La storia di questa strada, la prima in stile georgiano a Dublino, inizia verso il 1720, quan­do i più ricchi mercanti della città la scelgono co­me luogo di appartenenza. Il nome di Henrietta forse è un omaggio alla moglie di Charles Fitz­ Roy, secondo Duca di Grafton. Al numero 4 abi­tava il primo barone Farnham, al 5 l’ottavo con­te di Thomond, al 10 Luke Gardiner, imprendito­ re immobiliare dell’epoca, al 15 Mary Wollstone­ craft, futura madre di Mary Shelley, e tornando al 12 William Stewart, terzo visconte Mountjoy e in seguito primo conte di Blessington, gran ma­estro della massoneria irlandese. Tra le stanze ri­tratte da Watson avevano vissuto anche la moglie di Mountjoy, Eleanor, e i loro due figli, William e Lionel. All’inizio dell’Ottocento la strada, che fi­no allora era l’indirizzo più elegante della città, cambia destino sociale e diventa quartiere opera­io. Una famiglia per ogni camera, un sovraffollar­si di povertà, più di ottocento inquilini per quin­dici case. Poi all’inizio del terzo millennio, la ri­nascita, il restauro e il lento recupero. Ai fantasmi piace la lentezza. Per questo hanno aperto la por­ta a Simon Watson.