Simon Watson presenta il libro Portrait of a House pubblicato da Dürer Editions
Era il suono dei grandi appuntamenti, un suo no misterioso, che il battente aveva trasmesso al silenzio della casa e che la casa aveva restitui to all’esterno, facendolo riecheggiare in una del le più belle e antiche strade di Dublino. Quando Simon Watson si è presentato davanti al numero 12 di Henrietta Street, e quando la porta si è aperta, qualcosa nella sua storia di grande fotografo, e forse anche di irlandese, è cambiata. Del resto se dopo venticinque anni di vita e lavoro a New York, Simon era tornato nella sua isola, una ragione doveva esserci. E la ragione era al di là del la facciata in mattoni rossi di quella splendida residenza. I fantasmi aspettavano tranquilli e final mente non invano.
A spingere Watson fino lì era stata la richie sta di un cliente americano in cerca di una dimora “decadente e malinconica”. Simon allora si era ricordato dell’atmosfera di una strana casa che aveva visitato alla metà degli anni ’90, ospite di una festa, e ne aveva ritrovato il proprietario, Ian Lumley, architetto conservatore. Quando in una calda giornata d’estate, in una capitale praticamente deserta, Simon varca la soglia del 12 di Henrietta Street, tutto è ancora lì. Due secoli e mezzo di ricordi, di presenze, di passaggi si sono depositati sui muri. Muri come pelle sen sibilissima. Muri che hanno assorbito il respiro dell’ombra. Muri che Simon Watson ha voluto raccontare con estrema delicatezza, tornando per molti anni allo stesso indirizzo, come testimonia oggi il libro Portrait of a House.
La storia di questa strada, la prima in stile georgiano a Dublino, inizia verso il 1720, quando i più ricchi mercanti della città la scelgono come luogo di appartenenza. Il nome di Henrietta forse è un omaggio alla moglie di Charles Fitz Roy, secondo Duca di Grafton. Al numero 4 abitava il primo barone Farnham, al 5 l’ottavo conte di Thomond, al 10 Luke Gardiner, imprendito re immobiliare dell’epoca, al 15 Mary Wollstone craft, futura madre di Mary Shelley, e tornando al 12 William Stewart, terzo visconte Mountjoy e in seguito primo conte di Blessington, gran maestro della massoneria irlandese. Tra le stanze ritratte da Watson avevano vissuto anche la moglie di Mountjoy, Eleanor, e i loro due figli, William e Lionel. All’inizio dell’Ottocento la strada, che fino allora era l’indirizzo più elegante della città, cambia destino sociale e diventa quartiere operaio. Una famiglia per ogni camera, un sovraffollarsi di povertà, più di ottocento inquilini per quindici case. Poi all’inizio del terzo millennio, la rinascita, il restauro e il lento recupero. Ai fantasmi piace la lentezza. Per questo hanno aperto la porta a Simon Watson.