Amato: «L’Italia può fare la guerra, lo dice la Carta»

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L’invio di armi all’esercito ucraino viola gli articoli 11 e 52 della nostra Costituzione come hanno scritto alcuni nei giorni scorsi? Il presidente della Consulta Giuliano Amato, che ieri è intervenuto sulla questione presentando la relazione annuale sulle attività della Corte Costituzionale, ha spiegato che non è così, che l’aiuto militare alla resistenza di Kiev non è per nulla un atto illegale o illegittimo. E lo ha fatto in punta di diritto, citando l’articolo 78 della Costituzione che conferisce a Camera e Senato la decisione di un nostro impegno militare.

«Vale più l’articolo 11 o l’articolo 52 della Costituzione? Valgono entrambi gli articoli. Però c’è un terzo articolo che va ricordato, l’articolo 78 il quale evidenzia che Parlamento delibera lo stato di guerra e conferisce al governo i poteri necessari, ciò implica inesorabilmente che l’Italia possa trovarsi in guerra». Amato precisa che quindi non esiste nessuna contraddizione nella linea scelta dal governo italiano di supporto attivo all’esercito ucraino e prova allo stesso tempo a mettere fine alle polemiche sulla presunta violazione della Carta da parte dell’esecutivo guidato da Mario Draghi.

«Questo risponde al dibattito che c’è stato nelle scorse settimane: se il ripudio della guerra sia assoluto o se la guerra difensiva sia consentita o meno dalla nostra Costituzione. Mettendo insieme i tre articoli si ottiene la risposta alla domanda». Rispondendo alla questione se l’Italia possa partecipare alla guerra di un paese aggredito. In tal senso Amato non sembra nutrire molti dubbi e prova a fare chiarezza chiamando in causa altri trattati internazionali di cui il nostro paese è firmatario: «Ci tengo a sottolineare che se all’Italia non fosse consentito per Costituzione di partecipare alla difesa di paesi terzi sarebbero illegittimi sia l’articolo 5 del Trattato della Nato sia, e non lo ricorda mai nessuno e mi dispiace, anche l’articolo 42 del trattato sull’Unione europea che dice che qualora uno stato membro subisce pressione sul suo territorio, gli altri stati membri sono tenuti a prestare aiuto e attuare assistenza con tutti i mezzi in loro possesso e in conformità all’articolo 51 della Carta dell’Onu che considera come diritto naturale l’autotutela a difendersi da un attacco armato».

Il presidente della Consulta è poi intervenuto su un’eventuale incriminazione di Vladimir Putin e della sua cerchia per crimini di guerra e contro l’umanità in merito ai massacri nella città di Bucha, alle esecuzioni di civili e alle fosse comuni, orrori documentati da centinaia di testimonianze. Anche in questo caso la partecipazione attiva dell’Italia a un’azione penale nei confronti del presidente russo rientrerebbe nelle prerogative costituzionali. «Non è certo la nostra Costituzione a creare ostacoli. Gli ostacoli sono altri. Ad esempio la Russia non ha ratificato il trattato, mentre i primi a non volerne saperne sono stati proprio gli Usa, negli anni in cui avevano i marine in missione in vari paesi del mondo e temevano accuse. Neanche l’Ucraina lo ha fatto, ma ha accettato lo statuto e quindi rientra in questa giurisdizione».

Amato è poi entrato nei dettagli giuridici su una possibile istruttoria della Corte penale dell’Aja, ricordando quanto sia difficile vincolare gli stati sovrani a norme sovranazionali, e al contempo omaggiando l’impegno del segretario e fondatore del partito radicale Marco Pannella, probabilmente il più grande fautore in Italia dell’istituzione di un tribunale che giudicasse le atrocità delle guerre: «La situazione è tale che una istruttoria può essere avviata soprattutto perché le prove si trovano in Ucraina che ha accettato lo statuto della Corte. E poi si vedrà quello che succede. Mi sono occupato a lungo del tribunale internazionale per i crimini di guerra, creato nel 1998 -puntualizza ancora il presidente della Consulta – Lo debbo al mio rapporto con Marco Pannella, che mi spinse ad occuparmene in un tempo in cui l’unico che se ne interessava era lui. Ma il mondo, nonostante le Nazioni Unite, è ancora nelle mani delle sovranità nazionali. Quindi la giurisdizione del tribunale internazionale sarà effettiva solo nei confronti degli stati che la accetteranno. L’aspirazione a trasformare in legge il fatto che chiunque abbia commesso un crimine venga processato non è universale».

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