Come reagire se un ristorante ci propone un vino della casa? Fino a una decina di anni fa, era comune consumare al tavolo una caraffa di vino di origine “ignota”, senza alcuna indicazione specifica o tracciamento sull’origine, ma oggi come consumatori siamo molto più attenti ai dettagli e alla qualità dei prodotti. Per questo motivo, l’espressione vino della casa ha assunto una connotazione negativa, di bevanda poco pregiata o addirittura scadente, che viene acquistata sfusa dal ristoratore e proposto come alternativa economica alle bottiglie “di marca” a chi cerca semplici soluzioni per accompagnare i pasti. Ma è davvero così?
Cosa significa vino della casa
Storicamente, il vino della casa rappresenta una specialità unica di un locale, che il singolo ristoratore acquista da un vignaiolo di fiducia o un consorzio o cooperativa locali oppure, soprattutto per piccole realtà di campagna, produce personalmente con le uve delle vigne coltivate. Questo vino sfuso veniva servito in caraffa di vetro agli avventori a un prezzo basso, ragionevole e più conveniente rispetto a quello delle bottiglie etichettate, e i clienti apprezzavano la possibilità di consumare un prodotto forse senza pretese, ma molto “genuino”.
Questa era la “regola” in Italia dal dopoguerra e fino agli anni Novanta almeno, perché nei nostri ristoranti o trattorie (ovviamente non nell’alta ristorazione) era abitudine diffusa la vendita di vino sfuso, derivante appunto dalla consuetudine di acquistare il vino sfuso o in grandi damigiane. Solo negli ultimi anni, invece, è cambiato l’approccio ed è diventato preponderante l’acquisto delle singole bottiglie.
A contribuire a questa trasformazione è stata anche l’accresciuta consapevolezza dei clienti, che ora sono molto più scrupolosi (e in molti casi proprio esperti) sul tipo di vino da ordinare al ristorante, alle sue caratteristiche e anche alle opportunità di abbinamento; più di tutto, però, oggi i consumatori sono attenti alla qualità, e anche per questo motivo il vino della casa o il vino sfuso sono attualmente considerati con un pregiudizio, come prodotti di qualità inferiore rispetto al vino servito in bottiglia o al calice, con etichetta di un brand rinomato e un packaging efficace.
Il vino della casa è poco pregiato e di scarsa qualità?
In realtà, anche considerare semplicisticamente il vino della casa come prodotto di scarsa qualità da evitare accuratamente è sbagliato: se è vero che in alcuni casi limite (che sfociano nella truffa illecita) potrebbe trattarsi di economicissimo vino da supermercato o peggio ancora di residui di bottiglie o di caraffe precedentemente somministrati ad altri, nella maggioranza delle occasioni potremo sorseggiare un vino dall’onesto rapporto qualità/prezzo, acquistato in grandi quantità e quindi dal più favorevole costo al dettaglio per il cliente. E non mancano poi casi eccezionali, di ristoranti di livello che propongono in caraffa delle produzioni di assoluto pregio: sono emblematiche in tal senso le storie che arrivano da vari ristoranti esteri, che hanno avviato una collaborazione con cantine locali di eccellenza per realizzare dei vini dedicati esclusivamente alla propria clientela, nell’ottica di una visione comune ispirata appunto alla valorizzazione del territorio e dell’esperienza sensoriale del cliente.
E quindi, in sintesi, quando ci affidiamo ai consigli dell’oste o del cameriere e scegliamo un vino della casa ci possiamo attendere esattamente questo: un bicchiere quartino o una caraffa da mezzo litro o da un litro di onesto vino, senza nessuna spiacevole sorpresa. Anche perché, è bene sottolinearlo, il vino della casa è anche un biglietto da visita per un ristoratore, teoricamente il prodotto che lui sceglie e consiglia, e quindi non dovrebbe o potrebbe essere scadente.
Il problema del tracciamento e il caso francese
C’è però ancora un problema: il vino sfuso non sempre riporta le corrette informazioni per il cliente, che invece deve obbligatoriamente essere consapevole della tracciabilità del prodotto che sta consumando. In questo caso non parliamo di fiducia (o meno) verso il ristoratore, ma di un’attenzione anche legale sulle origini del vino e sull’importanza di conoscere (non solo per semplice nozionismo o esibizionismo) la cantina di produzione, l’eventuale marchio di qualità, l’annata della vendemmia e i metodi di produzione.
Qualcosa si sta muovendo in tal senso, e nelle scorse settimane ad esempio la Francia ha adottato una legge che impone l’obbligatorietà di indicare l’origine di ogni vino servito nei locali pubblici, che sia in bottiglia, al bicchiere o sfuso. La norma, volta a proteggere i guadagni degli agricoltori e a valorizzare la filiera del vino e della qualità, sancisce che osti, baristi e ristoratori debbano riportare correttamente sui menu, sulle carte dei vini o su qualsiasi altro supporto la provenienza di un vino, indicando eventualmente anche il marchio di Denominazione di Origine Protetta o l’Indicazione Geografica Protetta.
Un primo esempio interessante a cui far riferimento per proteggere il vino della casa e rimuovere quell’alone di fitto mistero e di sospetto che questo prodotto continua ad avere!