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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso di stanotte ha confermato la ripresa delle evacuazioni dall’acciaieria Azovstal di Mariupol, dove si è concentrata la residuale resistenza in città contro gli occupanti russi. Tra la sera di venerdì e la mattina di sabato sono arrivate notizie in questo senso anche dalle agenzie di stampa russe, che hanno parlato di tre autobus con a bordo decine di civili trasportati verso la città di Bezimenne, controllata dai russi. Secondo Zelensky i civili evacuati dall’acciaieria venerdì sono più di 40, mentre il ministero della Difesa russo e le autorità locali di Mariupol parlano di 50 persone, perlopiù donne, bambini e uomini anziani.

Ad ogni modo, l’evacuazione non è stata semplice. La vice prima ministra ucraina, Iryna Vereshchuk, ha scritto in un post su Telegram che le operazioni si sono svolte con grande lentezza perché le forze russe hanno continuato a sparare contro l’acciaieria violando il cessate il fuoco e costringendo i convogli umanitari ad attendere nei pressi. Ha poi aggiunto che sabato alle 17 verrà organizzato un altro convoglio che si dirigerà verso Zaporizhzhia domenica, probabilmente dopo una fermata a Bezimenne, che si trova a una trentina di chilometri da Mariupol.

Le persone che hanno già raggiunto Zaporizhzhia stanno raccontando com’è stata la durissima esperienza dell’assedio all’acciaieria. Dicono di essere state nella semioscurità per tutto il tempo, dentro bunker sotterranei, mentre in superficie i bombardamenti erano incessanti e intaccavano lentamente la struttura che copriva i bunker.

Questo era il terzo tentativo di evacuazione da Azovstal: domenica erano uscite dallo stabilimento circa 150 persone. Poi mercoledì la Russia aveva annunciato che da giovedì a sabato, tra le 8 di mattina e le 18, ci sarebbe stato un cessate il fuoco per permettere le operazioni di soccorso. Le autorità ucraine avevano però accusato la Russia di aver violato il cessate il fuoco già nel primo giorno, impedendo di fatto ai convogli di prelevare i civili.

Sempre a proposito di Mariupol, Zelensky venerdì ha tenuto un discorso al centro studi inglese Chatham House in cui ha detto che Mariupol non può cadere perché è già completamente distrutta, e ha definito la devastazione che c’è al porto della città «un esempio di tortura utilizzata come arma di guerra».

Una parte molto commentata dell’intervento ha riguardato invece le condizioni di pace. Nel discorso, Zelensky non ha escluso che i contatti diplomatici tra Russia e Ucraina possano riprendere, ma ha precisato che un negoziato può avere successo solo se la Russia accetta di tornare all’assetto territoriale in vigore il 23 febbraio, ossia il giorno prima dell’inizio dell’invasione. Anche se Zelensky non l’ha citata esplicitamente, questa parte del discorso sembra suggerire che – a differenza di quanto emerso in queste settimane – l’Ucraina sia intenzionata a rinunciare alle proprie pretese sulla Crimea, annessa unilateralmente dalla Russia nel 2014.

Zelensky ha comunque precisato che non accetterà un assetto territoriale diverso da quello che c’era prima dell’invasione: «Sono stato eletto dal popolo ucraino come presidente dell’Ucraina, non come presidente di una specie di mini Ucraina».