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Bene ha fatto Giorgia Meloni a ribattere con forza e durezza all’intervento in Senato del grillino Roberto Scarpinato.

Questi, infatti, in 12 minuti di “requisitoria” ha dato prova patente di che cosa sia e di come operi un certo tipo di magistratura politicizzata.

Quando l’ideologia prende il posto della realtà

L’intervento di Scarpinato in Senato è intriso di ideologismo vecchio e stantio che cita alla rinfusa fatti veri, fatti verosimili e plateali cantonate. E da tutto ciò fa discendere improbabili correlazioni fra le stragi neofasciste, riforma dello Stato in senso presidenziale e con interventi urgenti in materia di ordinamento giudiziario.

Insomma, l’apoteosi del complottismo giudiziario su cui tanta fortuna ha fatto il giustizialismo manettaro che , tuttavia, niente ha a che fare con la giustizia e con la tutela delle vittime.

E, di quel giustizialismo Scarpinato e i 5 Stelle sono degni rappresentati in Parlamento.

D’altra parte chi sia Scarpinato lo spiega benissimo Ilda Boccassini – non certo un magistrato di destra.

Scarpinato e Ilda Boccassini

Un misto di attitudine al narcisismo (“non ho mai apprezzato il suo stile di narciso da narciso siciliano perfettamente rappresentato dalla sua acconciatura alla D’Artagnan”) e alla dietrologia  che lo ha portato a diversi “fiaschi investigativi”, dalla mancata cattura di Provenzano alle indagini sul Ros.

Insomma, il quadro che emerge dovrebbe scoraggiare atteggiamenti da moralizzatore tanto più se complottardo, ma evidentemente non è così.

Peraltro – sempre stando alle dichiarazioni di Boccassini – l’ex PM siciliano fu avversario strenuo di Falcone salvo poi rivendicarne (impropriamente?) l’eredità morale all’indomani della Strage di Capaci. Quindi, insomma, non proprio un bel curriculum.

Dietro il complotto, il nulla

Come tutti i dietrologi, anche Scarpinato, nell’intervento in questione dimostra anche una certa ignoranza circa la storia della destra italiana e del MSI, solo superficialmente mascherata dallo stile oratorio savonaroliano.

Se ne può pensare quel che si vuole di quel partito, ma è indubbio che ha sempre tentato  di smarcarsi dalle derive estremistiche di certe formazioni extraparlamentari nonché ha immediatamente espulso di chi all’interno del partito fosse stato trovato a flirtare con tali derive.

Ma al nostro ex PM tutto questo non importa. Egli vuole dimostrare delle continuità inesistenti per mascherare il vuoti di contenuti della formazione che lo ha fatto eleggere senatore. E quando mancano in contenuti, arriva immancabilmente  P2  per colmare le incongruenze logiche dei ragionamenti. Proprio come accaduto nel caso di chi voleva far passare il Gen. Mario Mori continuo alla loggia deviata. Ignorando, tuttavia, che invece proprio un giovane Mori fu cacciato dai Servizi Segreti perché di ostacolo al piduista che ne era vice capo (come ricostruito da “il Dubbio” di oggi).

Insomma, dietro ricostruzioni suggestive, il nulla. Ma un nulla che evidentemente affascina perché offre una spiegazione semplicistica a problemi complessi. Tipico metodo del populismo giudiziario che proprio Falcone e Borsellino osteggiavano in nome della serietà della lotta alla mafia.

Cosa pensavano Falcone e Borsellino del Terzo Livello

I due magistrati uccisi da Cosa Nostra nel 1992 si sono sempre battuti contro queste fantasiose ricostruzioni di fantomatiche “Spectre” che muovevano i fili della storia del nostro Paese. Falcone non immaginava il Terzo Livello come un “locus” sovraordinato che dava comandi alla mafia. Borsellino fu ancor più chiaro nel sottolineare che certe letture sganciate dai fatti sono fuorvianti.

Insomma, la realtà è molto più complessa di un film di James Bond Ma evidentemente, quella parte a “007” Scarpinato deve essere sfuggita.

Ebbene, quel metodo complottardo che dà origine a teoremi affascinanti che si trasformano in flop processuali è da stigmatizzare. Il caso del processo Borsellino (sebbene non istruito da Scarpinato) è l’esempio lampante di come quel metodo abbia inquinato una seria e puntuale lotta alla mafia.

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