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Chiesa e papi. La morte di Papa Benedetto XVI sembra aver portato alla luce una serie di rancori e ostilità a lungo sopite nelle profondità delle mura vaticane e che oggi, invece, emergono in tutta la loro drammatica criticità.

Papa Francesco e Joseph Ratzinger: due visioni antitetiche

La sensazione che le visioni del mondo e della missione pastorale di Papa Francesco e quelle dell’emerito Benedetto XVI divergessero non poco era implicita e al contempo silenziosamente evidente.

La svolta missionaria e sociale della Chiesa, l’attenzione a problemi di natura politica e non dottrinale di Bergoglio ha segnato un punto di cesura forte rispetto all’esperienza pastorale di Joseph Ratzinger e, invero, anche rispetto a quella di Papa San Giovanni Paolo II. Una svolta – quella di Bergoglio – che ha confinato la teologia in un angolo oscuro, interno, che non usciva mai verso la comunità di fedeli.

Figura emblematica di ciò, Monsignor Georg Ganswein autodefinitosi “prefetto dimezzato”. “Lei rimane Prefetto, ma da domani non torna a lavoro” queste le parole di Bergoglio nei confronti di Padre Georg. E da lì, questi è rimasto confinato come Segretario personale di Benedetto XVI senza di fatto alcun potere sulla vita della Chiesa e alcuna influenza sulle sue posizioni.

Si tratta di posizioni che – sempre secondo le parole di Monsignor Ganswein – si sono divaricate sempre di più. Dalla messa in latino alla reazione rispetto alla “filosofia gender” si sono evidenziate due letture del mondo opposte. Tutto ciò,  avrebbe spezzato il cuore a Ratzinger e ha mutato radicalmente la direzione del papato. E lo dice chiaramente e candidamente Bergoglio quando parla del sogni di una Chiesa “missionaria che coinvolga integralmente le persone e le comunità senza nascondersi o cercare conforto nell’astrattezza delle idee”

La reazione di Bergoglio

Parole di fuoco che paiono suonare come una sferzante critica non solo all’ala conservatrice della Santa Sede, ma financo al metodo papale di Ratzinger che, pur non mancando di “stare nel mondo” dava molta importanza a ciò che c’è “fuori dal mondo” (ma che sul mondo poteva e doveva avere influenza).

E mentre il Monsignore dimezzato annuncia rivelazioni shockanti in un prossimo libro dal titolo “Nient’altro che la verità”, Papa Bergoglio dà la sensazione di essere vittima di una sorta di sindrome da accerchiamento, che cerca di spezzare attraverso una ancor più marcata difesa della propria posizione.

Nell’ultimo Angelus non ha lesinato parole dure nei confronti di un atteggiamento ciarliero che non cerca Dio nel silenzio e nell’umiltà, ma che si presta a generare scandalo nella Chiesa.

E non ha usato mezzi toni l’attuale pontefice allorquando ha parlato di comportamenti contrari e infedeli al Vangelo.

E, si badi bene, tutto questo non rimane solo un dibattito interno nel mondo “dell’astrattezza delle idee” o delle visioni pastorali della Comunità di Pietro. Diventa, invece, presupposto per azioni concrete e politiche che Bergoglio sta portando avanti. Un esempio su tutti, la sostanziale esautorazione del Cardinal De Donatis posto sotto tutela per ogni iniziativa che ecceda l’ordinaria amministrazione.

Il buon senso come balsamo per la comunità di fedeli: la posizione di Padre Vanirelli

In questa specie di guerra civile che da endemica e latente è uscita manifesta dopo la morte di Papa Ratzinger, la comunità dei fedeli assiste attonita e impotente.

Questo sembra dire padre Alberto Vanirelli, parroco di provincia (bergamasca) il quale in una lettera aperta a Mons. Ganswein lo invita a non pubblicare il libro dello scandalo. A non portare fuori i dissidi, le divergenze e le divisioni che stanno lacerando il Soglio di Pietro.

Insomma,un invito alla riservatezza, a lavare in panni in casa propria – magari anche duramente, ma privatamente – per non esporre l’intera comunità a una situazione che la comunità stessa mostra di non comprendere (e come potrebbe d’altra parte?!).

Non pare un’ode all’omertà, ma semplicemente al buon senso e forse le alte gerarchie ecclesiali dovrebbero dar ascolto a questo “prete di provincia”.

La Chiesa sta vivendo un momento (piuttosto lungo invero) di grande difficoltà. La contrazione del numero dei fedeli, il crollo delle vocazioni, la necessità di rimanere fedele a se stessa e al contempo navigare in una modernità spaventosa e spaventevole scuotono le fondamenta della missione ecclesiastica. Non è affatto facile rinnovare nella Tradizione e il rischio è quello di giungere a trasformazioni dagli esiti incerti.

La Lezione di Ratzinger

Si tratta cioè di riprendere la lezione di Joseph Ratzinger che ebbe il coraggio di fare un passo indietro di fronte a un’Istituzione sempre più lontana dall’ispirazione di Gesù Cristo.

E’ vero, le divisioni teologali sono sempre state presenti all’interno dell’Ecclesia, sin dai tempi degli Apostoli Pietro e Paolo. Ma qui siamo di fronte a tutt’altra cosa. A due visioni politiche che si combattono senza sosta, a dinamiche “umane troppo umane” che tuttavia possono condurre alla disgregazione.

E’ il momento di un passo indietro. E’ -per dirla con Papa Francesco – il momento di ritrovare Dio nel silenzio, interiore prima che mediatico. E questo vale per ambedue le “opposte tifoserie”.

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