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REGNO UNITO

19.05.2022 – 20:00

Le indagini si sono concluse con 126 ammende totali, inflitte a 83 tra politici, funzionari e funzionarie

LONDRA – Sollievo e nessun altra multa per Boris Johnson, ma lo scandalo Partygate non è ancora archiviato. Le indagini si sono concluse con 126 ammende totali, inflitte a 83 tra politici, funzionari e funzionarie, alcuni sanzionati più volte. Il tutto a conclusione dell’inchiesta condotta dalla polizia sui ritrovi organizzati fra 2020 e 2021 a Downing Street e in vari edifici governativi, in sfacciata violazione delle restrizioni anti pandemia imposte allora dall’esecutivo medesimo a milioni di britannici.

L’annuncio è arrivato dalla vicecomandante di Scotland Yard facente funzioni, Helen Ball, la quale ha messo il primo punto fermo su una vicenda che per il premier Tory si esaurisce al momento nella singola sanzione ricevuta il mese scorso assieme alla first lady Carrie e al suo ministro dell’Economia, il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak: multa per cui BoJo si è poi scusato in Parlamento respingendo tuttavia ogni sollecitazione a dimettersi.

«La Metropolitan Police ha formalizzato di non aver intrapreso alcun altra azione nei confronti del primo ministro», ha confermato successivamente un portavoce di Johnson, puntualizzando di fatto che per il capo del governo di Sua Maestà il dossier si chiude – almeno a livello legale – con la multa pagata ad aprile per aver presenziato alla festicciola organizzata dall’allora fidanzata e attuale moglie Carrie Symonds nel giorno del suo compleanno nel giugno 2020, in barba al lockdown allora in vigore. Sanzione d’altronde senza precedenti per un premier in carica nella storia dell’isola.

Il portavoce ha aggiunto che Johnson «è lieto che l’inchiesta della polizia sia terminata» e ha fatto capire come resti determinato a non fare passi indietro: in un contesto segnato dalla necessità di far fronte agli effetti di un’inflazione record nel Paese, ai contraccolpi economici legati a fattori globali, alla sfida contro «l’aggressione russa» all’Ucraina rispetto alla quale Boris ha ritrovato un ruolo leader nell’alleanza occidentale ed è stato in prima fila con Joe Biden nella linea dura verso Mosca.

Le opposizioni interne però non mollano la presa e non si accontentano certo delle mezze scuse fatte alla Camera dei Comuni in seguito alla multa di aprile, quando BoJo si limitò ad ammettere d’aver «fuorviato» in precedenza l’aula, ma non di aver mentito «deliberatamente».

Il numero uno del Labour, Keir Starmer – pur colpito a sua volta dai sospetti di un mini Partygate in salsa laburista ribattezzato “Beergate” – insiste infatti a denunciare le “violazioni di legge su scala industriale” imputate “al primo ministro e al suo staff” come materia di dimissioni. E pretende intanto la consegna integrale urgente dinanzi al Parlamento del rapporto dell’inchiesta amministrativa parallela affidata nei mesi scorsi dal governo a un team indipendente guidato dall’alta funzionaria Sue Gray. Inchiesta sulle stesse vicende indagate poi da Scotland Yard a scoppio ritardato.

Il rapporto è stato reso noto finora solo con molti omissis, e invece potrebbe svelare nel dettaglio fatti, fotografie, giudizi imbarazzanti. Il richiamo al rapporto Gray (atteso in forma genericamente più ampia, stando a quanto ribadito in toni vaghi da Downing Street, entro una o due settimane) è condiviso del resto da singoli deputati Tory critici, dagli indipendentisti scozzesi dell’Snp e dai Libdem: il cui leader, Ed Davey, non esita a prendere sarcasticamente di mira “Downing Street number 10” come “l’indirizzo ormai più sanzionato di tutto il Regno” per numero di violazioni accertate delle norme Covid.