Mi era sempre parsa una fatina dei boschi Michelle Williams: minuta, gli occhi sgranati, l’espressione mite di chi pareva scusarsi di essere lì e volere semmai scomparire, in punta di piedi. Curiosamente, vederla ora, in una bellissima scena di The Fabelmans, ballare libera, senza freni o timori, davanti al fuoco col suo abituccio trasparente – una sorta di audace e sensuale Isadora Duncan – non mi ha sorpreso per niente. Perché lei è capace di tutto. In The Fabelmans, Steven Spielberg racconta la sua infanzia e adolescenza, quando il matrimonio dei genitori si disintegra.
Già si parla di molti Oscar
«Michelle può reinventarsi in modo radicale in ogni personaggio che interpreta e ti lascia ogni volta smarrito. È una delle attrici più dotate con cui mi sia mai capitato di lavorare» ha confidato il regista al New York Times. Per questo, e senza esitazioni di sorta, l’ha scelta per interpretare sua madre, Leah Adler, una donna dalla personalità carismatica, un po’ ribelle, un po’ artista-pianista frustrata, moglie amata e insoddisfatta e mamma fieramente attaccata ai figli. È il film più personale, intimo e rischioso della sua carriera di regista. E si parla già di svariati Oscar.
Ora Michelle Williams è una donna: ha lo sguardo maturo, i modi pacati, riflessivi, di chi ha raggiunto un equilibrio pieno di creatività. Quando le parli ti trovi di fronte a un viso che esprime le emozioni più diverse, provocando una gamma di sensazioni contrastanti: è sognante, malinconica, e spesso ride con gioia, contenta. Recita da quando aveva 12 anni: il primo film è Lassie e, a 16, viene scelta per il ruolo dell’adolescente Jen Lindley nella celebre serie televisiva Dawson’s Creek. Lavora sempre, lavora duro: il successo internazionale di Brokeback Mountain (in cui è l’ingenua moglie di Ennis, Heath Ledger, innamorato di un altro uomo) e la sua storia personale con l’attore scomparso poi giovanissimo (padre della figlia Matilda) la catapultano con grande impeto sulla scena pubblica: un’esperienza traumatica, racconterà poi.
Un brillante all’anulare
Negli anni seguenti, con Blue Valentine, Marilyn, Manchester by the Sea, le sue performance vengono guardate ogni volta con ammirazione e rispetto da registi, colleghi e pubblico. I critici fanno a gara per scovare nuovi aggettivi e descrivere il suo stile. Per The Fabelmans il New York Times sottolinea “la squisita delicatezza” della sua recitazione, il Los Angeles Times parla di una «stupefacente, quasi intollerabile scarica di emozioni», e tu, in effetti, dalle emozioni sei sopraffatta quando la guardi sullo schermo.
Oggi i capelli biondo cenere sono lisci e sfiorano le spalle. Non ha un filo di trucco, porta un maglioncino a righe alla marinara, è pallida e delicata. Un piccolo brillante all’anulare (è sposata con Thomas Kail, il regista di Hamilton e Fosse/Verdon con cui ha avuto due bambini, ndr).
Si racconta tra lunghe pause, cerca le parole giuste per esprimere le emozioni del suo personaggio, si ferma e riflette prima di rispondere, socchiude gli occhi e – quando è finalmente pronta – li spalanca e ti parla guardandoti diritto.
Essere scelti da Steven Spielberg per un suo film è sempre una grande avventura per un attore. Essere scelti per calarsi nel ruolo della madre, adorata e fonte di continua ispirazione del suo cinema, è una responsabilità enorme. Non ricordo un’intervista con Spielberg (il mio primo incontro di persona risale al 1986 per Il colore viola) in cui non l’abbia menzionata (o non abbia citato la sua infanzia).
“Mi vengono i brividi”
Dove ha trovato il coraggio di accettare la parte di Leah, che nel film è chiamata “Mitzi”?
Mi vengono i brividi solo a pensarci e a ricordare le parole di Steven, perché l’intero film è un atto d’amore. Voleva riportare alla vita suo padre e sua madre; li aveva amati con una tale intensità che parlarne era un modo per tenerli vicini, per estenderne la vita e l’impatto. Quando mi propose questa parte la mia prima reazione fu: «Grazie a Dio me lo chiede ora, e non me lo ha chiesto ieri o un anno fa. Solo adesso, in questo momento, posso essere in grado di dire sì».
Gli ultimi due anni sono stati ricchi di eventi per lei. Ha girato questo film durante il Covid e tra due maternità. Immagino che diventare madre abbia influenzato il suo lavoro.
È strano ma devo dire che no, non è successo. Non sono mai stata tanto felice in vita mia, e quindi i turbamenti emozionali di Mitzi non mi appartenevano: erano suoi e solo suoi. L’ho amata molto: ho amato essere lei, vivere come lei. Ho amato le persone che lei amava, marito-amante-figli. Ho amato la sua casa, i vestiti, la sua vita e il suo spirito. Nella scena in cui devo annunciare ai figli che stiamo per divorziare, non potevo smettere di piangere; mi ha sorpreso quanto Mitzi mi stesse suggestionando, non mi era mai capitato prima. Forse lo dovevo all’essermi calata profondamente nel suo carattere e nelle sue vicende.
L’uragano che trascina i figli
Seguiamo ogni sua emozione sul grande schermo: nostalgia, tristezza, risate che spesso mascherano dolore. Gesti minimi, movimenti solo accennati. Non deve esser facile trasmettere tanti sentimenti. Come fa?
Be’, la madre di Spielberg viveva così: ogni espressione le affiorava sulla pelle, era quasi l’estensione del pianoforte che amava tanto suonare. Quando era felice diventava talvolta insopportabile, e quando attraversava momenti di depressione era davvero toccante. Per questo Steven dice che lei è il tornado cui va incontro, è l’uragano che trascina i figli. Era una tempesta, una bufera vivente… Tuttavia, per tornare alla sua domanda, è curioso: non saprei dirle da dove arrivano queste mie sensazioni. Quando le parole sono giuste, facili da dire, le emozioni e tutto il resto vengono con loro. Le circostanze, gli eventi di una storia creano poi una trama emotiva, assieme al lavoro che hai fatto in precedenza, e ciò che hai appreso del tuo personaggio: tutto si “realizza” e avviene nel momento delle riprese, quasi fosse un aftershock, una scossa d’assestamento. Ma nel presente.
Spielberg parla dei suoi anni formativi, tra i sette e i 18, come una fase fondamentale per capire il suo lavoro. Lei ha cominciato a lavorare a 12 anni e a 15 si è staccata dalla famiglia. Quali immagini e ricordi le balzano alla mente se va a quel periodo?
Quando ho letto la sceneggiatura di The Fabelmans mi sono subito sentita attratta dall’enorme forza dell’infanzia. È un pozzo senza fine da cui puoi attingere acqua per il resto della vita: tutto quello che poi cerchiamo di affrontare e risolvere è sempre legato a quanto è successo allora. Mentre leggevo le mie battute ero profondamente commossa perché mi rendevo conto di quanto ancora oggi fosse rilevante, per Steven, l’infanzia. Io all’infanzia penso sempre. Ho tre bambini e so quanto prezioso ed effimero sia quel periodo: di questo parlo spesso con mia figlia Matilda. Voglio proteggere quella loro fase e renderla magica: so che passeranno i loro anni futuri a decostruire quelli precedenti… Certi momenti di quel periodo hanno determinato le mie scelte in maniera definitiva, come, per esempio, il desiderio di libertà, l’ambizione di sentirmi senza controlli e briglie. Sono cresciuta in Montana, andando a cavallo, cercando nei prati le punte di freccia dei nativi americani, e correndo senza fine in bicicletta. Sono cresciuta nella poesia della natura e tutte quelle esperienze mi hanno spinta a trovarne altre simili che mi riportassero alla mia infanzia selvaggia, per cui provo una gratitudine infinita. Aggiungerei una cosa…
Michelle Williams e la maternità
Michelle Williams in una scena di “The Fabelmans”.
Prego.
C’è un altro aspetto che riguarda la vita professionale. Proprio per le mie esperienze personali precoci, cerco di proteggere i miei figli: so come tutto passa in fretta e quanto vulnerabili possano essere i bambini. Tutto quello che semini in quegli anni diventerà un frutto, può essere il più succoso e delizioso, ma in realtà non sai mai come sarà. Ecco: rifletto e rivado alla mia infanzia per dare ciò che di meglio posso ai miei figli.
Matilda ha 17 anni, Hart 2 e il suo terzo figlio è nato da poco. Come è cambiato il suo rapporto con la maternità negli ultimi anni?
Avevo 26 anni quando nacque Matilda e 42 quando è nato il mio ultimo, ci sono 17 anni di mezzo. Quello che posso subito dirle è che questa volta so che tutte le cose su cui ti fissavi, volevi correggere o risolvere, si sistemeranno da sole: sono oggi un genitore molto più rilassato. Mi sento diversa? No, sono sempre presa completamente dal mio ruolo di madre, e voglio vivere questo periodo magico fino in fondo. Avere bambini ti prende e quasi ti consuma, ma devi anche provare a goderti l’esperienza, altrimenti la riduci solo a cambiare pannolini e biberon. Cerco da una parte di lasciare che l’immaginazione dei miei piccoli crei connessioni sempre diverse, dall’altra controllo le ingerenze del mondo esterno. Devi essere vigile come genitore, e decidere cosa vuoi dare loro in questi anni formativi. È un tema che mi appassiona come vede (ride): non ho parlato d’altro per dieci minuti di fila!
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La vedo entusiasta e felice.
Non avrei mai immaginato di potere essere così felice. Mai. Ne sono così grata e prego che nulla di tutto questo mi venga portato via. No, non lo potevo immaginare… Oggi sono finalmente in grado di accettare che questa vita mi appartiene, e mi merito questa felicità.
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