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L’inverno demografico è arrivato in anticipo in Cina. Il paese più popoloso del mondo sta registrando un calo delle nascite. La conferma arriva con i nuovi dati rilasciati lo scorso 24 luglio da 29 province cinesi, che registrano il numero di nuovi nati più basso degli ultimi dieci anni. 

La decrescita infelice

Stando ai numeri resi pubblici recentemente, delle dieci più popolose province cinesi, solo il Guangdong, nel sud-est del paese, ha superato quota un milione di nuovi nati lo scorso anno, e in totale, solo sei di queste hanno avuto più di 500mila nascite nel 2021. In alcune aree, però, si è registrato il dato più basso degli ultimi sessant’anni.

Come racconta un articolo pubblicato sulla testata Global Times, che ha interrogato diversi esperti sul tema, nella provincia centrale dello Henan, si sono registrate meno di 800 mila nascite, la prima volta dal 1978, mentre nella provincia orientale del Jiangxi i nuovi nati non hanno raggiunto neppure quota 400mila, il livello più basso dagli anni cinquanta. 

Il trend è quindi poco incoraggiante. Secondo il direttore dell’Ufficio per la Popolazione e gli Affari Familiari della Commissione Nazionale per la Sanità cinese, Yang Wenzhuang, la Cina potrebbe entrare in fase di decrescita demografica già entro il 2025, ultimo anno del quattordicesimo piano quinquennale di sviluppo (2021-2025).

Le prospettive di un’inversione di tendenza sono quindi scarse, nonostante le politiche adottate recentemente da Pechino per contrastare il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione.

Per il ricercatore del Center for China and Globalization e demografo Huang Wenzheng gli ultimi dati testimoniano quanto il tasso di natalità in Cina continuerà a ridursi per oltre un secolo nelle città di prima fascia. “La politica del terzo figlio potrebbe alleviare alcuni dei problemi, ma è improbabile che si inverta il trend nel breve termine”, ha commentato Huang.

Ci sono altri dati che fotografano la situazione della natalità cinese. Secondo la Commissione sanitaria nazionale, dei 10,62 milioni di nuovi nati nello scorso anno, il 41,4 per cento è il secondogenito di una coppia, mentre il 14,5 per cento è il terzo figlio. 

L’inversione di rotta delle nascite cinesi

La Cina ha recentemente cambiato rotta nella politica della pianificazione familiare. Dallo scorso anno, le coppie cinesi possono avere tre figli anziché due. Il Partito comunista cinese ha introdotto la nuova misura per controbilanciare l’effetto del rapido invecchiamento della popolazione e delle temute conseguenze economiche del trend demografico in discesa, come i pochi giovani lavoratori in grado di sostenere la crescita economica cinese. 

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In un colpo, è stata così cancellata la politica del figlio unico introdotta nel 1979 dal governo di Pechino per rispondere alla preoccupante pressione demografica. Il provvedimento cinese, che ha vietato alle donne di avere più di un figlio per circa 40 anni, è stato abolito nel 2016: la speranza del Partito comunista era registrare uno slancio della fertilità. 

Inutili tentativi

Pechino però non ha ottenuto i risultati sperati. Le giovani coppie, in particolar modo quelle che vivono nelle città di prima fascia (tra le più note, Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen), sono costrette ad affrontare diversi ostacoli economici, come l’alto costo della vita, l’aumento degli affitti o dei prezzi delle case, e il competitivo sistema d’istruzione.

Il governo cinese è intervenuto per alleggerire da un peso economico le giovani coppie desiderose di avere un figlio, introducendo “misure di sostegno” alle famiglie. Pechino è al lavoro per ridurre le spese per l’istruzione e ridistribuire le risorse statali per diminuire i costi del settore dell’immobiliare.  

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Ma la Cina deve anche fare i conti con la costante diminuzione dei matrimoni. Nel 2021 sono stati registrati meno di 8 milioni di matrimoni rispetto ai 13,47 milioni di nozze celebrate nel 2013, secondo il rapporto sui matrimoni e le famiglie cinesi pubblicato lo scorso marzo da YuWa Population Research. 

Il figlio “prezioso”

I costi per partorire e crescere un figlio in Cina sono elevati, tanto da scoraggiare molti aspiranti genitori. La gravadanza e la cura post-parto è diventata una spesa onerosa per le neomamme. La sanità pubblica nazionale copre le spese delle visite ginecologiche, ma molte donne preferiscono rivolgersi alle cliniche private, considerate più efficienti e sicure nonostante gli alti costi: ogni famiglia arriva a pagare oltre 15 mila dollari per le cure in un ospedale privato.

Da questo computo sono però escluse le spese post-parto. Molte famiglie benestanti assumono per qualche mese una tata personale (in cinese nota come yuesao), pronta a seguire passo dopo passo la neomamma e il suo piccolo: ogni bambinaia – che insegna l’allattamento, cucina per la madre e accudisce il bambino – può guadagnare oltre 27 mila dollari al mese. 

Arriva poi il momento della scuola per il prediletto. Il percorso scolastico è lungo e difficile, e mette a dura prova l’intera famiglia pronta a investire tutto, emotivamente ed economicamente. Lo studente cinese, che deve emergere dal mucchio, deve eccellere in attività scolastiche ed extracurriculari. 

L’istruzione è il perno della mobilità sociale e costituisce una garanzia per un ricco futuro: chi si laurea in un’università d’elite cinese ha una prospettiva di guadagno del 30-40 per cento in più al mese rispetto a chi ha frequentato altri istituti. Ma è una prerogativa riservata ai genitori benestanti che, per rendere possibile una formazione eccellente in diversi campi, iscrivono i loro figli sin da piccoli alle scuole private (la cui retta può toccare cifre di 25mila dollari annui) e ai corsi di tutoraggio e di ripetizione: una prassi per tutte quelle famiglie che, fino a qualche mese fa, spendevano oltre 17mila dollari l’anno per l’istruzione del proprio successore. 

Una stretta è arrivata recentemente dal ministero dell’Istruzione cinese, che ha messo un freno al business degli istituti di tutoraggio: sarà il governo a stabilire le fasce di prezzo per le ripetizioni e il tutoraggio allo studio. L’obiettivo è duplice: ridurre il peso economico che grava sui genitori e alleggerire la pressione sugli studenti in quello che è il sistema scolastico più competitivo al mondo.

La matematica e la politica del figlio unico 

Il calo delle nascite in Cina è la conseguenza quindi di diversi fattori: economici, sociali e politici. Ed è, senza ombra di dubbio, l’eredità di una sfrenata crescita che la Cina ha registrato dal 1979 con il programma “Riforma e apertura economica” lanciato da Deng Xiaoping. Il “piccolo Timoniere” ha dovuto affrontare un’altra sfida inattesa, che si è presentata già alla fine degli anni Sessanta: una “bomba” demografica senza precedenti.

A lanciare l’allarme è stato un professore della Stanford University, Paul Ehrlich, con il suo libro “Population Bomb”, in cui ha predetto una carestia mondiale negli anni ’70 e ’80, nonché altri sconvolgimenti sociali, a causa della sovrappopolazione. I timori di una “esplosione demografica” si erano già presentati negli anni ’50 e ’60, ma il libro e il suo autore hanno portato l’idea a un pubblico ancora più ampio.

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I toni allarmistici del docente statunitense, sebbene criticati, hanno alimentato le preoccupazioni del Club di Roma – una organizzazione no profit fondata nel 1968 con lo scopo di avviare una discussione globale sulle crisi sociali e ambientali che il mondo avrebbe affrontato da lì a poco – che ha chiesto ai diversi paesi dell’Asia (India e Cina in particolare) di attuare le giuste misure per arginare il fenomeno della crescita spropositata della popolazione. 

Gli appelli degli studiosi occidentali non sono rimasti inascoltati in Cina, che in quegli anni era impegnata a recuperare anche un gap scientifico e culturale con gli Stati Uniti. Deng si rivolge ai suoi scienziati e affida all’ingegnere Song Jian il compito di individuare una soluzione per evitare che la bomba demografica scoppiasse e minasse gli obiettivi di crescita della Cina. Song ha applicato un modello matematico (di derivazione europea) che è stato alla base del lancio della politica del figlio unico. Sulla base di ipotesi sulle tendenze future, Song con il suo gruppo di scienziati ha eseguito calcoli che hanno determinato la popolazione “ideale” per la Cina: per il successivo secolo, il paese avrebbe dovuto ospitare tra 650 e 700 milioni cinese, circa due terzi della popolazione di allora. 

Al fine di raggiungere questo target, sostenibile nel lungo periodo, tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70 lo scienziato Song ha calcolato che per ridurre rapidamente il numero dei nuovi nati si sarebbe dovuto imporre un limite: consentire a ogni coppia di avere un solo figlio per i successivi 40 anni, dopo i quali sarebbe stata allentata gradualmente la stretta sul controllo demografico. 

La sua tesi, promossa in un libro pubblicato nel 1985, “Controllo della popolazione”, ha conquistato il Partito comunista. Lo stesso che ha dovuto affrontare una umana tragedia legata alla politica del figlio unico e che ora deve lottare per aumentare il numero dei nuovi nati.