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Fabrizio Bottini 16 gennaio 2023 12:04

Tutti conosciamo anche solo per sentito dire il Bosco Verticale. La famosa coppia di torri residenziali realizzata a Milano alcuni anni fa secondo un concetto diventato famoso per l’uso del verde domestico in vaso non più solo estetico di abbellimento come i comuni gerani da terrazzino ma integrata dentro la struttura funzionale e organizzativa dell’edificio. A scopi dichiaratamente di mercato, energetici (la regolazione termica), e di sperimentazione sociale. Così come dichiarata pur implicitamente dall’uso del nome «bosco» in giù una funzione sottilmente ideologica dove l’artificiale recupera un po’ di naturalità sfruttandone meglio i caratteri e mascherando sé stesso, e anche la proprietà privata si guadagna qualche punto di «pubblica utilità» esponendo sé stessa allo sguardo di tutti i cittadini come prolungamento visivo dei pubblici giardini circostanti, in qualche modo fruibili anche se non ovviamente calpestabili senza sfidare la forza di gravità oltre che il diritto. Appena oltre la superficiale consapevolezza di tutti i virtuali fruitori di questa singolare forma di verde cittadino si colloca però in notevole misura anche il verde accessibile pubblico-privato e naturale-artificiale di cui il Bosco Verticale si offriva come prolungamento.

Nell’allestimento landscape attuale viene chiamata Biblioteca degli Alberi perché progettata dal paesaggista secondo il criterio abbastanza consolidato, dai giardinieri di corte tradizionali attraverso Frederick Law Olmsted, del piccolo catalogo di specie vegetali o «orto botanico tascabile». Ma è dal punto di vista tecnico-organizzativo che vanno cercate le particolarità più interessanti per noi. Si tratta da un punto di vista logico progettuale della «espansione naturale» della Piazza Aulenti ovvero del cortile privato per quanto liberamente accessibile tra i nuovi edifici e che copre altri spazi sottostanti destinati sia alla sosta veicoli che ad altri servizi. Lo stesso verde «proprio» anche dove è davvero tale ovvero su suolo autentico lo è comunque assai artificializzato dal fatto di essere di riporto su una superficie a lungo fatta di macerie della guerra e della dismissione ferroviaria. Una delle ragioni organizzative della convenzione pubblico privata per la manutenzione e la pulizia del giardino Biblioteca degli Alberi è data appunto dalla somma dei due fattori: la natura di prolungamento del cortile-copertura dei box auto, la natura semi-artificiale del terreno stesso su cui sorge il giardino. Del resto il modello non è neppure di per sé unico o raro.

Basta spostarsi al non lontano e contemporaneo quartiere City Life, egualmente rappresentativo della Nuova Milano dal punto di vista sociale e architettonico, per ritrovare il medesimo rapporto tra verde e costruito, artificiale e semi-naturale, e infine nella logica pubblico-privata che sottende tutta l’idea di spazio e gestione, più simile a uno Shopping Mall o Gated Community che dir si voglia che a un quartiere urbano così come siamo abituati a pensarlo. Ma arriviamo all’ultimo progetto del genere in ordine di tempo, quello appena proposto da Ceetrus, che societariamente discende da Gallerie Commerciali ed è la composizione traslitterata delle due parole City e Trust. Questo progetto di cui ancora non conosciamo i dettagli spaziali e organizzativi sembra saltare a piè pari ogni passaggio intermedio, incluso quello della dismissione degli spazi su cui innestare la trasformazione pubblico-privata naturale-artificiale

Esiste ai margini del Parco Sempione una larga striscia occupata dai binari delle ex Ferrovie Nord diretti al terminal Cadorna: si progetta di «realizzare un nuovo Parco Cittadino» (cosi recitano gli articoli dei giornali riferendo del comunicato) ricoprendo con una soletta di cemento armato i treni che continueranno a scorrere, mettendoci del terriccio con erba e cespugli, e ovviamente auto-ricompensandosi del dono con qualche metro cubo di nuova edilizia adeguatamente valutata. Tutto da capire nei dettagli ma viste le premesse il senso del tutto già si intuisce: basta chiamare Parco un tetto di cemento per trasformarlo davvero nel verde naturale che si limita a citare di nome? Basta saltare il processo urbanistico complesso della dismissione o trasformazione ferroviaria con una soletta di cemento a nascondere delle «pudenda procedurali»? E infine anche nulla sapendo di come verrà shakerato il cocktail pubblico-privato stavolta, come si calcola lo standard socio-sanitario-urbanistico-prestazionale del verde un po’ vero un po’ finto un po’ soprattutto ideologico? Misteri che solo il futuro proverà a rivelarci con tanta tanta costanza e fatica interpretativa.

La Città Conquistatrice – Riqualificazione Urbana

Il verde pubblico-privato vero-finto