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«Gli italiani si aspettano dalla magistratura decisioni giuste e prevedibili, in tempi brevi. Gli stessi magistrati hanno bisogno di una riforma che rafforzi la loro credibilità e terzietà. Questi sono i principi alla base della riforma del governo, che auspico possa essere completata con prontezza». Così il premier Mario Draghi ha abbandonato l’understatement a cui aveva obbedito per mesi a proposito del ddl Cartabia sul Csm.

Lo ha fatto nel messaggio inviato ieri all’Università di Padova in occasione del convegno intitolato proprio “La riforma Cartabia – Nuove sfide per una giustizia che cambia”, organizzato per festeggiare l’ingresso dell’Ateneo nel suo nono secolo di vita. Messo già in sicurezza il ddl Concorrenza che, dopo l’esplicita sollecitazione trasmessa da Draghi alla presidente Casellati, sarà approvato entro la fine del mese, e incassata l’intesa di maggioranza sulla delega fiscale, il presidente del Consiglio dunque, guarda avanti e si concentra sul resto delle riforme, non ultima quella cruciale sulla giustizia.

Draghi confida in tempi rapidi per la legge delega su ordinamento giudiziario e Csm e lo fa capire chiaramente. Dopo che il 20 maggio aveva scritto alla seconda carica dello Stato per sottrarre alle isterie dei partiti il provvedimento sulla concorrenza (e sui balneari), ora preme per una accelerazione anche sul testo della guardasigilli. Le parole di Draghi suonano come una strigliata ai partiti: niente giochetti per dilatare ulteriormente i tempi. Se è impensabile che si possa anticipare la data dell’approdo in aula a Palazzo Madama, previsto per il 14 giugno, il messaggio sembra però muoversi nella seguente direzione: “Cari partiti, non illudetevi di poter andare oltre quella deadline”.

L’ultima volta che il premier aveva fatto sentire il proprio peso sulla questione risale al Consiglio dei ministri dell’11 febbraio, quando aveva chiesto ai partiti «l’impegno ad adoperarsi con i capigruppo per dare priorità assoluta in Parlamento all’approvazione della riforma in tempo utile per l’elezione del prossimo Csm», assicurando che non avrebbe posto la fiducia sul testo. Ma questa volta il segnale che vuole dare è più forte, motivato forse anche da una certa stanchezza e insofferenza nei confronti dei gruppi che hanno presentato in commissione Giustizia al Senato ben 264 emendamenti.Interpellato dal Dubbio, il leghista Andrea Ostellari, che di quella commissione è il presidente e che è anche relatore del ddl, dice: «Presentare gli emendamenti e discuterli non impedisce di arrivare prontamente a una soluzione efficace e utile agli italiani, magistrati compresi, anzi. E vista l’importanza del tema e le grandi aspettative da parte di tutti, un approfondimento leale e fattivo merita di essere fatto».

Bisogna anche dire che al Carroccio conviene procedere a rilento anche per un altro motivo: rafforzare l’appuntamento referendario del 12 giugno, quando ci si dovrà esprimere sui cinque quesiti per una “giustizia giusta”, promossi insieme al Partito radicale. Poter dire ai cittadini che il Parlamento non è ancora riuscito ad approvare la riforma significa persuaderli di avere il potere di cambiare la giustizia nel nostro Paese a fronte di una politica inerte. È evidente che quei quesiti, se passasse il sì e si raggiungesse il quorum – evento alquanto improbabile – , non sarebbero la panacea di tutti i mali del sistema giustizia, ma di certo la vittoria del sì, o almeno una sconfitta dignitosa, rappresenterebbero un segnale importante per la politica e per la magistratura. Tuttavia questa difficile partita a scacchi, soprattutto dopo le parole di Draghi, rischia di complicare i rapporti all’interno della maggioranza e tra i partiti e il governo stesso.

Chi invece si schiera con il presidente del Consiglio è Anna Rossomando, vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia e diritti del Partito democratico, che ci rilascia questa dichiarazione: «Draghi ci richiama alla responsabilità di non mettere indugio al completamento della riforma del Csm, il cui contenuto rafforza credibilità e terzietà della magistratura con risposte innovative. Il testo è frutto di un lungo confronto ed è stato largamente condiviso dalle forze di maggioranza in Parlamento. Il Pd è pronto e chiede di votarlo». Su una posizione analoga è schierato un altro importante protagonista dell’iter della riforma ordinamentale, il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa: il ddl, dichiara, «è frutto di un accordo in maggioranza e fa registrare importanti passi in avanti: rende più serie le valutazioni di professionalità, impedisce di fare ogni giorno conferenze stampa, limita i fuori ruolo, chiude le porte girevoli, limita i passaggi di funzioni. E non è poco», assicura il deputato, «in una legislatura che era stata inaugurata dallo stop alla prescrizione e dalla spazzacorrotti. È il momento di concludere il percorso come sollecitato dal presidente Draghi».

A proposito di votazioni, sarebbe quasi impossibile porre la fiducia: alla Camera il testo è stato votato articolo per articolo, quindi se ora in Senato il governo decidesse di mettere la fiducia su un maxiemendamento, i testi sarebbero formalmente diversi e sarebbe comunque necessario il ritorno alla Camera. D’altronde, porre la fiducia su ciascuno dei 43 articoli significherebbe allungare tantissimo i tempi.Oggi intanto a Padova, nel secondo giorno del convegno a cui ha inviato il proprio messaggio Draghi, sono previsti, tra i numerosi interventi, anche quelli del consigliere della ministra Cartabia per le professioni Gian Luigi Gatta, di Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale all’Università di Bologna, Gian Domenico Caiazza, presidente Ucpi. Si chiuderà con la relazione del sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. Sempre oggi ci sarà riunione del direttivo Anm: all’ordine del giorno l’esito dello sciopero contro la riforma del governo, che ha visto l’adesione del 48% dei magistrati.