Gli ampi margini degli exit polls non raccontano tutta la storia di un presidente che dovrà riconquistarsi un Paese
PARIGI – Una vittoria annunciata, sì con ampio margine, ma nel bel mezzo di una disaffezione totale da parte dell’elettorato francese e a fronte di una Destra che nella storia della Repubblica non aveva mai superato prima la soglia di sbarramento del 40%.
Un 58% delle preferenze (dicono gli exit polls di domenica sera) che però, scrive su Twitter Mathie Gallar di Ipsos France, «rappresenta circa il 38% se rapportato agli elettori reali di tutto il Paese», molti dei quali o non sono andati a votare per questo ballottaggio o hanno preferito lasciar perdere del tutto.
Insomma, peggio di Macron, aveva fatto solo Georges Pompidou (37,5%) nel 1969. Anche quello anno di astensionismo quasi catastrofico (e lo fu per più di un motivo, come ben sappiamo).
Ma quindi da dove origina questa presunta crisi? I fattori sono diversi e partono di sicuro dal netto scollamento della vita e della visione cosmopolita della politica di Parigi con quello delle zone più periferiche, conservatrici e legate al territorio. In questo senso, infastidisce molti lo sguardo rivolto verso l’Europa di un Emmanuel Macron che ha la chiara ambizione di voler diventare il vero successore di Angela Merkel come fulcro dell’Unione Europea
Dall’uomo nuovo delle elezioni del 2017 (è il più giovane presidente mai eletto in Francia) a una personalità istituzionale internazionale, percepita come lontana dai problemi quotidiani di una parte dei francesi, e che con gli anni ha finito per stancare, se non indispettire, in diversi. Non è un caso che la nascita, e la fortuna, del movimento protestatario dei Gilets Jaunes si collochi proprio nel bel mezzo del suo quinquennio presidenziale.
Tornando a questa domenica 24 aprile, una delle sensazioni più diffuse, riprese da diversi giornalisti internazionali che si sono recati a “tastare il polso” – come si dice – dei francesi alle urne è stata l’impotenza e l’estraniamento: «A quelli che abbiamo chiesto chi votate, ci hanno risposto con il tipico “bof” francese, aggiungendo “tanto è uno o l’altro, è uguale”», scrive una reporter della BBC.
La vittoria di questo fine settimana ha un po’ quel sapore amaro delle preferenze ricevute non tanto perché si ha convinto, ma piuttosto per non far vincere il proprio avversario. Proprio quella Marine Le Pen, che non incarnava soltanto la destra xenofoba che spaventa tantissimo centro e sinistra francesi, ma anche l’antieuropeismo e la vicinanza a Putin che finivano per diventare ancora più preoccupanti nel contesto dell’attuale conflitto in Ucraina.
Con la voce rotta, sotto la tour Eiffel, Macron ha ringraziato e ha parlato di «una nuova Francia più indipendente e un’Europa più forte». Traguardi da raggiungere «rispondendo alla rabbia del Paese – che ha votato per la Destra – con un nuovo progetto che si occupi delle divisioni e tenga conto delle differenze, mirando al rispetto, alla giustizia e all’uguaglianza fra tutte le donne e tutti gli uomini».
Qualche parola anche sulla guerra «che ci ricorda che viviamo in tempi tragici». Il Macron-bis, però, «non sarà una copia del quinquennio precedente, non ci sarà continuità ma sarà un’era nuova», garantisce Macron.
Eppure, proprio nei minuti e nelle ore dopo al suo discorso, nelle piazze di diverse città francesi (Lione e Parigi) esplode già la violenza, e i vandalismi dei contrari riuniti in cortei di rivolta. A rispondere, anche questa volta, ci penserà la polizia con cariche e manganelli.