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L’atmosfera è così intima e raccolta, che per un attimo potreste pensare di trovarvi a cena da amici, non in un ristorante in pieno centro a Venezia. Complici le luci soffuse, le texture naturali, così materiche che quasi sembra di toccarle con lo sguardo, ma anche i colori (dall’azzurro dei pavimenti al rosso dei mattoni, dai grigi degli intonaci al nero dell’ebano) che attirano e intrigano. Vista, tatto e naturalmente olfatto e gusto sono i sensi coinvolti nel nuovo Ristorante Il Refettorio, il secondo firmato dal Gruppo Majer (che si aggiunge ad altri 9 locali nella Serenissima), progettato dallo studio milanese Giuseppe Tortato Architetti. La location è a due passi dalla Scuola Grande di San Rocco a Venezia, dove a metà del XVI secolo Tintoretto realizzò il suo più importante ciclo pittorico con episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento ed è per questo spesso chiamata la “Cappella Sistina di Venezia”. 

© Marco Valmarana 

«Ci sono voluti dieci anni per realizzare il Refettorio. La ricerca dei materiali, dei prodotti di qualità e di altissima artigianalità e la stessa produzione, sono stati processi lunghi e dettagliati», spiega l’architetto, che da anni cura il design dei locali del brand Majer. Lo stesso Tortato ha natali veneziani: non è un caso che i tratti della scuola di Carlo Scarpa riemergano in molti dettagli del locale. L’omaggio al grande genio è un ritorno alle origini e alla tradizione del luogo, che si respira in ogni angolo. L’essenza veneziana si legge nei giunti ad incastro dei tavoli, nell’accostamento dei materiali e dei colori, nei battiscopa metallici e nelle grate (di memoria Scarpiana). 

© Marco Valmarana 

Tortato parla di «una ricerca metafisica, un’indagine profonda sull’essere umano, che parte dai sensi, dai materiali naturali e dalle lavorazioni artigianali quali strumento della ricerca stessa, che si sintetizzano in un luogo che vorrebbe essere “per sempre”».  In questa ricerca creativa il colore ha giocato un ruolo molto importante, è stato quasi un fulcro del progetto stesso. 

Le tinte scure, quasi nere, scelte per gli arredi fissi, contrastano con il resto dei pezzi, in nuance più chiare. Particolarmente suggestiva è la scelta del pavimento azzurro: è un cotto della Fornace De Martino, che in una piccola frazione di Salerno lavora la stessa argilla con le stesse tecniche da oltre 500 anni. «Appena ho visto questo tipo di cotto me ne sono innamorato», spiega Tortato. 

La manualità, l’esperienza, l’abilità nella lavorazione della terracotta si sono trasferite di generazione in generazione, attirando l’attenzione di artigiani e artisti di tutto il mondo che negli anni hanno collaborato con la Fornace. Incluso lo stesso architetto.

© Giuseppe Tortato

L’artigianalità qui regna sovrana. Si presenta nel menu e negli ingredienti delle ricette di una “cucina senza ego”, che pone l’attenzione sugli ingredienti, sulle preparazioni e sulle cotture, che esalta i prodotti e che “si prende cura” anche dei produttori, rispettando e valorizzando il loro lavoro. A tavola si trovano, ad esempio, la Chianina della Macelleria Fracassi, il prosciutto di Sant’Ilario, la carne Wagyu Miyabi e i vini naturali di Bressan (tutti i fornitori sono presentati all’interno dell’Altro Menu, un modo per farli conoscere agli ospiti a tavola). 

La custodia della materia prima si manifesta anche nella scelta degli artigiani esclusivi che hanno lavorato fianco a fianco con l’architetto per la realizzazione di pezzi unici e portatori di significati simbolici.  Il bancone – pezzo centrale della vita del locale – è stato realizzato in peltro ed ebano, materiali che possono durare nel tempo e “invecchiare bene, raccontando attraverso le proprie rughe una storia sempre nuova”. Si tratta di un pezzo unico che ricorda il suo legame con la città attraverso l’inserimento sul frontale di due barre metalliche, omaggio alle due maggiori quote storiche dell’acqua alta a Venezia. Una sorta di marchio di fabbrica, ideato dallo studio per il Signor Majer (il carismatico Fabrizio De Nardis, proprietario del brand), a partire dal primo ristorante alla Giudecca ed utilizzato anche nel packaging aziendale. 

© Giuseppe Tortato

Un altro pezzo importante, che dà carattere e resta impresso nella memoria, è la scala in cemento protagonista della seconda sala da pranzo. È minimal e contemporanea, ma allo stesso tempo la materia la rende quasi “ancorata al passato”. Sembra quasi sospesa sul pavimento di cotto azzurro, ed è caratterizzata da un corrimano in metallo brunito, lo stesso dei battiscopa e dei serramenti delle vetrine ed un parapetto realizzato artigianalmente con striscioline metalliche intrecciate.  

Tutti gli arredi delle due sale sono stati pensati dall’architetto Tortato e prodotti da realtà artigianali esclusivamente per questo ristorante, a partire dalle luci che illuminano delicatamente i tavoli e le sedie in rovere chiaro, custom made su disegno dello studio. Il mattone e gli intonaci spiccano alle pareti, mentre il legno antico caratterizza le tavole dei soffitti. 

Ogni singolo elemento di questa “casa lontano da casa” contribuisce alla creazione di un luogo speciale dove, semplicemente, “stare bene è la chiave di lettura” di un angolo di convivialità che si contrappone alla progettazione usa e getta che caratterizza il nostro momento storico.